“Vendere le istituzioni”. Una prospettiva per i professionisti della comunicazione

– Dalla rubrica di Luca Prioreschi e Federico Impavidi, “Tell Before Sell”

Tra i nostri ultimi clienti si è inserita un’amministrazione comunale, è quindi l’occasione perché questa rubrica, dal titolo “Tell, before sell”, si occupi di quel caso limite in cui il “dire”, oltre ad anticipare il “vendere”, sembra affrancarsene completamente.

È questa la condizione che generalmente si associa alla comunicazione istituzionale: veicolare messaggi senza l’intento di vendere un prodotto. Lo spazio di questo articolo sarà utile a chiederci se sia proprio questa la prospettiva da adottare.

Una prospettiva che già non trova riscontro nell’altra comunicazione molto affine a quella istituzionale, cioè quella elettorale, laddove a fare le veci del denaro c’è il voto: a suo modo un bene interscambiabile; fatto che la avvicina, fino a quasi assimilarla del tutto, al marketing puro e semplice. “Marketing elettorale” è del resto un’espressione ampiamente utilizzata e da lungo tempo il suo massimo esperto, lo Spin Doctor, è considerato come il più abile dei persuasori.

La legge 150/2000 è il riferimento giurisprudenziale in termini di comunicazione pubblica e, fin dall’art. 1, la riconduce ai basilari principi di trasparenza ed efficacia cui l’azione amministrativa deve ispirarsi. Un riconoscimento del comunicare come fattore di pari dignità rispetto a quello del fare, equazione che le aziende private avevano già da tempo risolto.

È tuttavia assodato che l’assenza del fine di generare un profitto produca spesso l’inadeguatezza delle istituzioni nel sapersi comunicare, a partire da quella proverbiale difficoltà nel padroneggiare i canali digitali. Un livello troppo basso, che viene poi affossato definitivamente nel confronto con i due giganti con i quali deve quotidianamente misurarsi: le aziende private e il marketing politico-elettorale. I cittadini non possono non cogliere l’abissale gap che intercorre tra i siti istituzionali e quelli delle multinazionali su cui navigano, acquistano e consumano contenuti. E non possono ignorare neppure la differenza tra l’impegno profuso dal politico per comunicarsi in campagna elettorale e quello, molto più modesto e meno organizzato, con cui poi l’azione amministrativa si racconta durante il mandato (ad eccezione, ovviamente, del periodo in cui il mandato si avvia alla conclusione e torna ad annusarsi l’aria di campagna elettorale).

Il sentirsi “cosa aliena” della comunicazione istituzionale rispetto alla logica del consenso, su cui invece le aziende private e le campagne elettorali devono basare il loro approccio, ha sempre in qualche modo giustificato la tendenza alla rilassatezza comunicativa, una tendenza che i professionisti della comunicazione digitale hanno la possibilità di invertire.

È a partire da questa visione che abbiamo scelto di approcciare il nuovo cliente come un’azienda privata: a pensarci bene un’amministrazione pubblica ha in primis il dovere di sorvegliare e implementare dei servizi: beni culturali, viabilità, trasporti, politiche sociali, associazionismo, scuola, sanità… se le aziende e i grandi brand sono sempre in cerca di servizi da sviluppare e da vendere, arrivando spesso alla necessità (e abilità) di dover creare bisogni nel consumatore, un’amministrazione deve fronteggiare bisogni tutt’altro che da inventare, bensì basilari alla sopravvivenza di un individuo e di una comunità.

Non dimentichiamo neppure un altro tassello fondamentale del ragionamento, cioè che le istituzioni e i loro servizi non sono affatto beni gratuiti per i cittadini, che invece pagano quello che è a tutti gli effetti un prezzo: le tasse. Un prezzo da cui peraltro non possono sottrarsi.

Davanti a queste argomentazioni non sarà più tanto difficile pensare ad un Comune di più di 20mila abitanti come ad una vera e propria azienda. Ecco perché siamo consapevoli questo nuovo progetto, partito da poco, ci richiederà continuamente capacità di pensiero strategico, planning, analisi del customer (citizen) journey, del sentiment, e tante altre skills che non si crederebbero necessarie a chi deve limitarsi al dire cose a persone diffidenti e poco interessate.

Insomma, se fino a non molto tempo fa la comunicazione pubblica consisteva quasi del tutto nello scrivere e nel disbrigo delle pratiche burocratiche, al tempo della digitalizzazione comunicare le istituzioni in maniera efficace rende necessaria l’entrata in gioco di tutte quelle competenze tipicamente impiegate nel marketing e nella comunicazione digitale, rese necessarie dalla trasformazione dei tempi, degli spazi e dei modi in cui oggi le informazioni nascono, crescono e si diffondono.

Ecco allora che la “res publica”, la “cosa pubblica”, diventa res digitale, cioè affare dei professionisti del digitale, così che il cittadino possa smettere di incespicare sui siti istituzionali non responsive o di leggere papiri inadatti ad una caption di Facebook, vivendo invece l’insolita esperienza di una pubblica amministrazione al passo con i tempi.

Per approfondire:

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