Tommaso Gavi, una brillante critica alla formazione tradizionale

Studiare Comunicazione è ancora oggi una sfida aperta. Il mondo corre, l’Università fatica a stare al passo. Analizziamo punti di debolezza e punti di forza

Affronteremo il tema di Scienze della Comunicazione da infiniti punti di vista. Intervisteremo neoiscritti, laureandi e laureati, professori e ricercatori. Noi della Digital Combat Academy vogliamo dare un punto di riferimento a chiunque studia, o abbia studiato, una delle più belle Facoltà del mondo. Con i pro e contro, con le lodi e le critiche, con gli apocalittici e gli integrati.

Se la Comunicazione Digitale non stimola la conversazione intorno alla Comunicazione Tradizionale, la seconda muore. E dato che la capacità di autoformarsi spetta solo a pochi eletti, è bene che l’Università sopravviva. Ne va dell’apertura mentale di un’intera popolazione studentesca.

Tommaso Gavi è un talentuoso figlio della Comunicazione. Bei voti, bella testa, tanta voglia di fare anche fuori dal contesto scolastico. L’abbiamo conosciuto dal vivo e ci ha fatto una bella impressione per mille motivi diversi. Non avrà problemi ad avere successo nella vita. Per questo ci permettiamo di condividere con voi le sue parole. Buona lettura.

Il mondo del lavoro avanza, la formazione accademica tradizionale sembra non stare al passo. Rispetto alle Facoltà di Comunicazione & Marketing in Italia, quali aspetti ti senti di condannare e quali di difendere?

“Possiamo levare il ‘sembra’ dalla domanda e dire che la formazione accademica tradizionale non riesce a stare al passo del mondo del lavoro. Anzi, a volte è lontana anni luce, nella migliore delle ipotesi è indietro di 5-10 anni rispetto ai contesti lavorativi (che in campo digitale sono un secolo). Ci sono sicuramente molti aspetti da migliorare ma anche diversi punti di forza che non sono da buttare via”.

Forse condannare è un termine troppo forte ma penso che gli aspetti più carenti dell’Università in Italia siano l’approccio troppo sbilanciato sullo studio teorico, le infrastrutture inadeguate e un’idea di insegnamento troppo frontale. Un esempio molto terra terra: studiare Twitter, oggi, su dei libri pubblicati nel 2014. Frequentare una facoltà senza una connessione wifi decente. Seguire lezioni di un professore che nella migliore delle ipotesi ha 15 anni più di te”.

Quali sono per te i limiti delle Facoltà di Comunicazione & Marketing in Italia?

“Approccio teorico: quasi tutti gli aspetti legati al mondo digitale hanno bisogno di un continuo aggiornamento e di un’esperienza sul campo. Gli studi scientifici sui social media, ad esempio, per forza di cose non possono ancora avere le solide basi di altri argomenti, proprio per una questione di tempo. Affrontare questo argomento solo sul piano teorico è controproducente. Significa rifugiarsi nelle certezze di ieri e, a volte, sfiorare soltanto le sfide di oggi. Ovviamente non è sempre così. Ci sono anche corsi che provano a stimolare un’iniziativa pratica ma sono ancora troppo poco.

Infrastrutture inadeguate: nell’epoca dei video a 360°, di internet delle cose, dei social media, il nostro paese, dal punto di vista delle infrastrutture, è rimasto al medioevo. Ovviamente è una condizione generalizzata e anche l’università è così. Il punto è che spesso dietro alla struttura si nasconde anche una mentalità. L’ambiente fornisce molte informazioni sul tipo di utilizzo per cui è pensato. Mi sento di dire che da questo punto di vista c’è ancora tantissimo da fare.

Insegnamento frontale: l’insegnamento accademico nella maggior parte dei casi è pensato come frontale e lineare. Il professore sale in cattedra e riversa le sue nozioni sullo studente il quale prende appunti e ripete pedissequamente le nozioni ricevute per ottenere un buon voto. C’è uno sforzo mnemonico non indifferente ma spesso è sufficiente solo questo. Nel mondo non invece non basta fissare nella mente alcuni concetti per prendere un buon voto. Nel lavoro come nella vita devi essere in grado di dare un contributo concreto, tangibile, creativo. Spesso e volentieri devi risolvere problemi che non hai creato tu stesso e lo devi fare rapidamente e con una soluzione efficace. Questo non lo impari sui libri.

Mancano inoltre, nella maggior parte dei casi, opportunità di un confronto alla pari tra studenti, una riflessione su quanto imparato, un risvolto pratico. Pensare di poter gestire tutto secondo i propri tempi e solo in base alle proprie conoscenze e capacità è irrealistico. In molti contesti ti sarà richiesto di saper collaborare e di mettere a disposizione le tue competenze. Sarebbe bello che tutto questo fosse presente all’Università perché anche il sapere accademico non può rimanere uno ad una dimensione individuale. Ultima cosa dell’insegnamento: è sbagliato pensare che la didattica sia soltanto lineare, come un libro che parte dalla prima pagina e si conclude con l’ultima. Molto spesso, e soprattutto con internet, l’apprendimento non è lineare e non è mai concluso. Spesso richiede di saltare da una parte all’altra per poi riprendere più volte una cosa che si era messa da parte. Insomma ci è richiesto di apprendere in un modo più elastico”.

C’è qualcosa che salveresti dell’Università?

“I punti di forza: solide conoscenze, stimoli intellettuali, professori preparati, sterminate possibilità di approfondire i temi studiati. Insomma l’Università se non è approcciata in modo passivo ti garantisce di tenere il cervello in allenamento”.

Ipotizziamo che la Digital Combat Academy abbia la giusta visione del mondo, e che un breve percorso di formazione privata possa completare – senza mai sostituire – il percorso universitario. Spiegaci cosa ti piacerebbe ottenere da un ideale corso di formazione.

“Mi sono dilungato molto nella prima domanda, non lo farò in questa. Non tanto perché ci sia poco da dire, quanto perché la risposta a questa domanda è la diretta conseguenza dell’analisi di poco sopra.

La Digital Combat Academy deve fornire strumenti concreti. Deve far fare esperienza, deve dare opportunità di sporcarsi le mani. Nel momento in cui rinuncerà ad un approccio pratico, avrà fallito.

Nel mondo della Comunicazione spesso si rischia di fare molte chiacchiere. A volte manca il risultato concreto. Con questo non voglio dire che non serva riflettere, tutt’altro. Nel mondo digitale i risultati possono essere misurati. Nella maggior parte dei casi si lavora sui dati, non sulle opinioni. Senza dubbio i numeri sono un ottimo punto di partenza anche se è sbagliato pensare che abbiano un significato univoco. Sull’interpretazione del dato si gioca la bravura di chi si è messo in gioco. Ma avere una misura dei propri risultati è il punto di partenza.

Cosa mi piacerebbe da un ideale corso di formazione? Proprio questo punto di partenza misurabile. Un’integrazione pratica al percorso di formazione universitario. Strumenti concreti per mettere a frutto un sapere troppo spesso teorico. Nelle occasioni in cui ho incontrato personalmente il Direttore Accademico, in ogni discorso questo approccio mi è stato chiaro fin dall’inizio. In un certo senso penso che sia proprio questa la sfida della scuola e le premesse ci sono tutte”.

La parola stage nell’immaginario collettivo ha due accezioni. Una positiva, quando implica il primo passo verso l’accesso a un lavoro stabile. Una negativa, quando implica la trappola usata da aziende e scuole private per promuovere un’esperienza al limite dello sfruttamento. Di questi tempi postmoderni, pensi esista il modo di acquisire competenze senza bisogno di passare per uno stage?

“Sono sempre più convinto che lo stage sia un periodo di prova per tutelare le aziende che rischiano di trovarsi di fronte a persone che non hanno la minima coscienza del luogo in cui si trovano. Perché è inutile negarlo: l’Università da sola non è una garanzia di professionalità. In questo periodo l’azienda ha l’occasione di capire chi sei e vedere che prospettive puoi avere. Il rischio di passare da questa fase allo sfruttamento legalizzato c’è ma credo che ognuno di noi sia in grado di capire quando qualcuno si sta approfittando delle nostre competenze. La domanda però non era questa, scusate la digressione.

Penso che esistano molti modi di acquisire competenze senza passare per uno stage. Il primo è mettersi in gioco in esperienze concrete, senza aver paura di sbagliare e di prendere in pieno dei pali che inevitabilmente arriveranno. ‘Sbagliando si impara’ giusto? Perché questo non deve valere anche dal punto di vista professionale?

Inoltre la rete ci da un’enorme possibilità di autoformazione. Su internet puoi trovare di tutto. La capacità di saper scegliere cosa può fare al caso nostro è fondamentale per imparare ogni giorno qualcosa di nuovo. Non c’è limite alla fantasia, non c’è limite alla voglia di imparare. Il problema forse, in alcuni casi, è una certa pigrizia mentale e un’avversione per la fatica. Se vuoi imparare a nuotare non puoi pensare di farlo fuori dall’acqua. Ti devi buttare facendo attenzione a non annegare ma senza aver paura di bere un po’ d’acqua della piscina. Finché rimarrai a bordo vasca perché per te l’acqua è troppo fredda non andrai da nessuna parte. Quindi il primo passo è mettersi in gioco e rischiare anche qualcosa.

Ovviamente c’è anche la possibilità di farti aiutare da qualcuno che al momento è qualche spanna avanti a te. Da queste persone devi ‘rubare’ (nel senso buono del termine) con gli occhi. Per imparare devi avere l’umiltà di riconoscere che c’è sempre qualcuno che saprà fare qualcosa meglio di te, senza però dubitare delle tue qualità.

Per acquisire competenze devi “investire” su te stesso, sia in termini di tempo che in termini economici.

Domanda finale, la più delicata. Ti reputi positivo verso il tuo futuro? 

“Sì, mi reputo positivo verso il futuro. La mia è la ‘generazione della crisi’. Abbiamo sentito il peso di questa parola fin da quando avevamo un’età che ci metteva davanti le prime scelte della nostra vita. Questo ha avuto un effetto paradossale: ci ho incoraggiato a mettere da parte il superfluo e puntare su quello che più ci stava a cuore. Senza farci troppi calcoli perché tanto ‘finirai disoccupato a prescindere’. Senza farci troppi calcoli perché tanto ‘la crisi c’è per tutti’. E invece non è così perché proprio questa situazione ti mette davanti ad un bivio: o ti piangi addosso o tiri fuori le palle. Se scegli la seconda opzione ti renderai conto di avere delle energie che non immaginavi nemmeno di avere. In alcune situazioni ti chiederai se sei davvero tu quello che ha agito in quel modo. La crisi per noi è diventata un’opportunità.

Se in tutto questo inserisci gli scenari che si aprono con il mondo digitale, il mix diventa esplosivo. Internet offre numerosissime opportunità. A ognuno di noi la scelta se coglierle o lasciarle scappare. Sia chiaro: non sono così ingenuo da credere che possa garantire le stesse opportunità a tutti e che sia la salvezza del genere umano. Funziona allo stesso modo dei contesti off-line: le differenze rimangono. Anzi sono accentuate. Resta il fatto che oggi chi ha gli strumenti adatti e la giusta mentalità può cogliere le grandi possibilità offerte dal mondo digitale. Devi senza dubbio aver chiaro l’obiettivo.

Citando Seneca (a volte aver fatto il Classico fa brutti scherzi) ‘Nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa a quale porto vuol approdare’. Se ti concentri sull’obiettivo e dai il massimo i risultati prima o poi arrivano. Ogni giorno un piccolo passo in avanti e raggiungi la meta”.