Stefano Stravato, una storia italiana di meritocrazia tra web marketing e user experience

Esperienza internazionale guadagnata sul campo in Wind, Leo Burnett e Fiat. Docenze di livello alla Bocconi, allo Iulm e alla Sapienza. Genio, passione e positività per una storia tutta da scoprire

Abbiamo conosciuto Stefano a un evento privato organizzato da Marco Stancati, consulente per la comunicazione d’impresa e docente alla Sapienza di Roma. Una stretta di mano, un bicchiere di vino e una stimolante chiacchierata ci hanno fatto scoprire un professionista brillante, che non abbiamo esitato a convocare come docente per il nostro Corso in Aula.

La serenità con cui ti racconta il suo incredibile percorso professionale ti fa dubitare di provenire dallo stesso pianeta – o quantomeno dallo stesso Paese. Pacato, sorridente e umile, Stefano è una di quelle persone che staresti ore ad ascoltare. Ogni suoi racconto di vita è una lezione a sé.

Dai primi progetti universitari all’apertura della propria azienda, passando per importanti avanzamenti di carriera in aziende di alto livello, la storia di Stefano è una bomba di positività per lo spirito. Al riparo da buonismi e ipersemplificazioni, Stefano ha incasellato una serie di successi sulla base del merito.

Vogliamo offrirvi le sue parole nella speranza che tutti, nessuno escluso, perda mai la voglia di fare bene. Anche e soprattutto in Italia.

Partendo dall’inizio, il tuo profilo su LinkedIn rivela un’esperienza universitaria alla Sapienza di Roma. È stato un ambiente sicuramente stimolante, quantomeno per conoscere docenti in gamba e materie in linea con i tuoi interessi. Ma, ad oggi, cosa senti ti sia rimasto di quell’esperienza universitaria?

“Mi è rimasto così tanto, che ho difficoltà a dirlo in poche parole, dovrei citare uno a uno progetti, laboratori e attività extra-didattiche, grazie ai quali ho assimilato concetti che mi sono rimasti dentro per sempre: la fiducia nei tuoi colleghi, quando lavori in team, è l’aspetto più importante, oltre ad avere imparato che se pensi una cosa è perché puoi realizzarla. Due prerogative dell’ambiente che ho frequentato, un mix unico di persone, eventi e luoghi che mi ha fatto crescere, ha stimolato la mia curiosità, mi ha fatto misurare con situazioni e sfide che altrimenti non avrei nemmeno immaginato e, alla fine, mi ha indicato la strada da per-correre”.

Noi della Digital Combat Academy amiamo chi corre veloce. Dopotutto, sono le persone che possono accelerare l’avanzamento di un intero Paese. I tuoi 6 anni in Fiat parlano chiaro, e raccontano la storia di un professionista che ha lavorato tanto e bene. Raccontaci l’evoluzione in Fiat da Internet Specialist a Global Digital Manager.

“Arrivai a Torino alle 6 del mattino, in un martedì di metà luglio del 2004. Scesi dal treno in sandali e pantaloncini corti. Mi misi abito e cravatta in un bar vicino alla stazione di Porta Nuova e salì su un autobus verso la porta 12 di Mirafiori. Ero già stato in una grande azienda come la Wind, ma la Fiat, vista dall’ingresso sul retro di via Orbassano, dove all’epoca era relegato l’ufficio marketing, mi fece impressione, mi affascinò subito. Sentì che era il posto dove volevo lavorare. Quella convinzione ed eccitazione iniziale furono fondamentali: in quell’occasione mi fecero passare il colloquio, dopo mi aiutarono a fare le scelte giuste e a mantenere sempre altissime la concentrazione e la creatività. Per il salto da stagista a manager seguì il mio istinto: mi creai l’occasione di passare in Leo Burnett come account executive e lavorai ‘da esterno’ con il direttore della comunicazione di Fiat, Giovanni Perosino, e tutto il suo team. Per 14 mesi non sbagliai un colpo, risolsi qualche situazione delicata e seppi raccontare al direttore marketing il posizionamento beat e on the road per un prodotto che faceva sbadigliare tutti, la buona e vecchia Croma, ma che stava andando male e bisognava riportare in alto nelle vendite con una campagna internazionale. Proposti di girare lo spot con Paolo Sorrentino e la casa di produzione ci porto Jeremy Irons come attore. Dopo poche settimane tornai nei corridoi di Mirafiori come Internet Marketing Manager”.

Lavoratore dipendente, speaker, consulente. Hai vissuto molte fasi, dentro e fuori le aziende. Poi a settembre 2014 hai deciso di fondare qualcosa di tuo, o meglio di ‘vostro’. Com’è nata l’idea di Fifth Beat?

“Dalla convinzione di aver messo da parte un piccolo capitale fatto di relazioni, competenze e metodi e dall’obbligo, quasi morale, di doverlo far fruttare e crescere e non tenermelo solo per me. E dall’incontro con i miei due soci, persone speciali, senza le quali nulla sarebbe accaduto. Fifth Beat sviluppa e distribuisce il nostro capitale iniziale, che è semplicemente quello che sappiamo o impariamo a fare e il modo in cui lo facciamo, sia alle persone che ci lavorano che ai clienti”.

La docenza è un lavoro delicato. Bisogna trasmettere le proprie competenze e la propria passione, e non tutti i lavoratori sono competenti o, meglio ancora, appassionati. Quali sono le figure che nella tua vita hanno positivamente condizionato il tuo stimolo ad insegnare?

“Tutto è nato in maniera graduale. C’è da dire che mi sarebbe piaciuto fare il professore o il ricercatore, ma poi ho scoperto che preferisco prendermi qualche rischio e lavorare tanto in team, e nel mio caso queste due cose si sono verificate di più in azienda che in aula. Sono tornato sui miei passi perché quando ero in Fiat in tanti mi invitavano a raccontare la mia esperienza e, come al mio solito, non mi sono mai tirato indietro: l’Università di Padova, la Facoltà di Economia a Torino, Bocconi, Iulm, La Sapienza, forum e i convegni in Italia e all’estero, aziende come Barilla e, due anni dopo aver lasciato Fiat, anche Renault. Devo ringraziare tutti quei colleghi che oltre a lavorare hanno sempre insegnato, a partire dal mitico Carlo Andrea Pattacini, di Barilla, che mi invitò allo Iulm di Milano. La fonte di ispirazione è Marco Stancati, che conobbi allo Iab Forum di Milano nel 2006, mentre raccontava alla platea il suo caso di studio. A quei tempi era direttore generale della comunicazione di Inail e professore Pianificazione dei Media nelle strategie di impresa e mi raccontò che insegnare era per lui il modo migliore per restituire a persone più giovani di lui ciò che la vita gli aveva dato, oltre a essere un’ottima palestra per la mente (e per il fisico, se hai a che fare con le aule de La Sapienza)”.

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