Startup & Imprenditoria Digitale, Ecco i 3 Errori Più Comuni per Federico Belli

Ospitiamo con piacere il primo guest post di Federico Belli, CMO di Peekaboo, Scuola per Startupper e Partner della Digital Combat Academy

Fare startup ti cambierà la vita, ma non per forza in meglio. Da quando Peekaboo ha lanciato la prima edizione del Lean Startup Program ha accompagnato nel loro percorso di crescita più di 300 startupper e ha provato a raccogliere tutte le principali sciocchezze che albergano nella testa degli imprenditori quando si lanciano nella validazione di un progetto digitale.

Qui viene riportata la Top 3 di Federico Belli, CMO di Peekaboo. Probabilmente “startup” è la parola del momento. Tutti ci si riempiono la bocca ma in pochi la utilizzano correttamente, non sapendo che assume significati differenti a seconda del contesto in cui la si utilizza. Prima di parlare di errori è dunque opportuno quindi provare a darne una corretta definizione in modo da abbattere in partenza il 90% dei preconcetti.

#1 – STARTUP, START UP, START UP A STARTUP… WTF ?!?

Qualche tempo fa ho assistito ad uno speech in cui Augusto Coppola, Direttore dell’acceleratore d’impresa LUISS Enlabs, parlava di startup ed investitori e non ho potuto fare a meno di notare quante persone si arenassero sui concetti più banali. Proviamo a fare chiarezza.

Partendo dal presupposto che “start up” non indica un sostantivo ma un verbo (start up = avviare), inizio raccontandoti le uscite che hanno provocato le più iraconde reazioni:

“Una startup non è altro che una piccola impresa”

Assolutamente no.

“Ok, con startup si intende l’impresa che sta vivendo la fase iniziale della sua vita”

Di nuovo, no.

“La startup è un’impresa che innova continuamente… condizione necessaria, ma NON SUFFICIENTE”.

Qui si è creato il silenzio, anche il più audace non ha avuto cuore di ritentare la fortuna. Ma allora cos’è realmente una startup? Qui si potrebbe aprire un dibattito senza fine.

I fanatici di Eric Ries potrebbero dire che è qualcosa che ha a che fare con l’incertezza, quelli di Paul Graham che in realtà ciò che conta è la crescita repentina (qui faccio chiarezza) ma alla fine ci si accorge che non esiste un’unica ed inconfutabile definizione.

Io però ho promesso una spiegazione e quindi do la mia, figlia dell’unione tra ciò che ho appreso sul campo e ciò che ho studiato sui libri.

“Una startup è un’organizzazione di persone che devono trovare una soluzione per un mercato che potenzialmente non esiste, di cui non si conoscono né clienti né competitor, prima di finire i soldi a disposizione”.

Ciò che deve rimanere impresso è che una startup non è un “!” ma un “?” in cui i founder non sanno ancora cosa vendono e chi lo vendono, ma sono consapevoli di doverlo scoprire velocemente.

#2 – CIRCONDATI DI PERSONE GIUSTE

Qualche tempo fa collaboravo con alcuni amici ad un marketplace (www.easydinner.it) che permetteva agli studenti universitari di trovare il miglior ristorante in cui mangiare velocemente e senza spendere troppo.

Dopo aver sviluppato il prodotto e raccolto le prime metriche abbiamo fatto due diligence con Techstars, un’acceleratore d’impresa di fama internazionale. In quell’occasione non fummo fortunati e l’occasione sfumò, ma il recruiter di cui non ricordo il nome disse una cosa che non potrò mai dimenticare, la traduco per semplicità.

“In Techstars ci concentriamo principalmente su 6 elementi… team, team, team, market, product, growth”.

Il team è tutto. È probabile che un’idea mediocre in mano ad un ottimo team raggiungerà il mercato mentre è sicuro che un’ottima idea in mano ad un team mediocre non supererà neanche la fase di test.

Costruire un team coeso è complicato e richiede tempo. Inizia interrogandoti su quali figure potrebbero aiutarti a risolvere il problema che hai individuato (se hai in mente di sviluppare un prodotto digitale probabilmente non potrai fare a meno di coders o UX designers) e su come fare per coinvolgerli; diffida di chi si accontenta dei soldi anche se non sposa la vision, ti mollerà alla prima occasione più remunerativa.

Sii flessibile rispetto ai ruoli ma accertati che tutte le componenti core del tuo business non restino scoperte (può esistere una pizzeria senza forno?).

Pensi di affidarti ad una web agency? Non è questo il momento. Parlando con i potenziali clienti ti accorgerai che dovrai modificare e rimodificare il prodotto che avevi immaginato inizialmente per renderlo accattivante o adatto alle loro esigenze. Non è il caso di mettere mano al portafoglio per ogni modifica effettuata, non puoi permettertelo.

#3 – DEFINISCI KPI CHIARI E SEGUILI 

Le startup che vivono la fase stra-iniziale o early stage si definiscono “data driven” perché, essendo nuove sul mercato e non avendo ancora validato il modello di business, l’unica cosa che possono fare è letteralmente farsi guidare dai dati.

KPI è l’acronimo che contraddistingue i “Key Performance Indicator” ossia quegli indicatori che permettono ai founder di avere una visione più o meno chiara di quello che sta accadendo alla propria organizzazione.

Churn rate, burn rate, CTR, CAC, customer LTV ecc, quali scegliere?

Non esistono regole fisse. Per quanto alcuni indicatori di performance siano imprescindibili (qualsiasi azienda dovrebbe sapere quanto gli costa raggiungere un potenziale cliente), la scelta dei KPI varia di business in business e dipende dal periodo storico in cui si trova l’azienda.

Una volta impostata la strategia non dimenticare di monitorare gli avanzamenti con cadenza regolare. Chi lavora in “agile” è abituato ad analizzare i risultati giorno per giorno per anticipare e correggere eventuali errori che, se scoperti tardi, potrebbero ledere l’azienda in termini di tempo e soldi.

Con l’aumentare degli affari a volte i team trascurano questa attività o la affrontano con sufficienza, non fare che questo succeda anche a voi. Un ottimo approccio è quello tipico della metodologia “Lean Startup” introdotta da Eric Ries, che prevede continui cicli iterativi di breve durata per analizzare l’impatto sul mercato di ogni singola iniziativa proposta.

Guest Post a cura di Federico Belli, CMO di Peekaboo