Oltre il marketing: l’impatto del branded content
– Dalla rubrica di Luca Prioreschi e Federico Impavidi, “Tell Before Sell” –
Al tempo della sovraesposizione ai messaggi pubblicitari, e più in generale ai prodotti mediali, essere originali non basta più. Anche l’originalità diviene sempre più standardizzata, fruibile, replicabile. Proliferano i content creator, l’effetto wow non è più delle élite, appartiene a tutti.
Si moltiplicano i copy orientati alla vendita, i video, cresce esponenzialmente l’advertising.
Per contrappasso, tutti diventiamo sempre meno impressionabili, sempre meno colpibili.
Le nostre risorse cognitive (memoria e attenzione in primis) sono limitate, quindi possiamo fare solo una cosa: iniziare a ignorare.
Skippiamo l’annuncio su YouTube, cambiamo canale e stazione radio quando parte la pubblicità.
Inizia l’eterna rincorsa del marketing alla nostra attenzione, che diventa ogni giorno sempre più brava a districarsi tra ad, un banner e annunci sponsorizzati.
È proprio qua che il branded content affonda le sue radici; come tutte le cose davvero rivoluzionarie, nasce da un’idea semplice, da un’osservazione che diventa un’intuizione e poi un nuovo modo di fare le cose.
Un modo non forzatamente diverso, alieno, come certi guru professano, ma solo nato da una nuova prospettiva: se il marketing non riesce più ad acciuffare l’attenzione delle persone correndole dietro, che smettesse di correre allora!
Facciamo in modo che sia l’attenzione a venire verso l’azienda.
Si parla sempre meno di aziende e sempre più di brand, di cui praticamente ogni addetto ai lavori ha dato e dà la sua definizione; ecco, se qui ne dovessimo dare una nostra, diremmo che se si riesce a creare una percezione dell’azienda in grado di attirare e mantenere l’interesse delle persone, allora si ha davvero creato un brand.
“Ok, il content marketing lo conosciamo bene”. Sì, è vero: basare il marketing su contenuti di altissimo valore e qualità si chiama content marketing e non è certo una novità, anzi è quello che ogni buon marketer cerca sempre di mettere in pratica. Ma siamo ancora nell’orbita del marketing: stiamo ancora correndo dietro all’attenzione del nostro target.
E allora, cos’è sto benedetto Brand Content? Produrre brand content significa dire “tieni, eccoti questo video, questa informazione (brand magazine/brand journalism), quest’intrattenimento… e non devi comprare nulla”. Sei fuori dal funnel: non c’è call to action.
Abbiamo smesso di correre dietro alle persone, non chiediamo loro nulla.
Attenzione! Ogni bravo marketer sa che le aziende non sono Onlus, devono sempre e comunque vendere il loro prodotto, facendo lavorare il proprio modello di business, produrre utili!
Il brand content ricade più nell’area della comunicazione che non del marketing, dunque una strategia di contenuti brandizzati è solo una parte del piano di comunicazione e marketing di un’azienda.
Detto questo, si compie un passo che fa saltare le regole del gioco: nel momento in cui Ford produce delle web serie, la pubblicità compie il suo salto e diventa vero intrattenimento, quindi posso non cliccare su “skip ad”!
Suona strano? Immaginate una “Camera Cafè” ambientata in un magazzino di Amazon. Immaginate che occasione sarebbe creare dell’intrattenimento e con esso riuscire a fare storytelling aziendale, immaginate che occasione per Amazon, ad esempio, per lavorare sulla percezione (più o meno vera che sia) di essere un’azienda che “spreme” i dipendenti. Scherzandoci anche un po’ sopra, perché no?
Ora è più chiara la portata di questo cambiamento di prospettiva: i brand diventano case produttrici, diventano editori nel caso del brand magazine!
E non vale solo per le multinazionali, ogni azienda può produrre dei contenuti che siano di informazione o intrattenimento, che comunichino i suoi valori e la raccontino.
Con impatto enorme nel lungo periodo, ovviamente.
Durante questa quarantena, seguivamo, tra le altre, la comunicazione di un’azienda di formazione che eroga corsi in svariati campi, corsi sia professionalizzanti che relativi ad hobby e passioni. Tra gli altri, anche un bel corso di avvicinamento al vino, tenuto da un bravo sommelier.
Ovviamente, tutta la comunicazione della scuola la facciamo ruotare da sempre intorno ai vari professionisti e alunni dei corsi, finalizzata sempre ad acquisire nuovi corsisti.
Con la scuola chiusa, ci siamo detti “perché non sperimentare qualcosa che di solito non facciamo?”. Tutti i giovedì, il sommelier va in diretta sulla pagina Facebook, stappa e racconta un vino: abbinamenti, storia, caratteristiche.
Senza alcun ritorno immediato perché la scuola non vende e non produce vino!
La risposta della nicchia è stata ottima, alcune decine di appassionati (parliamo di un’attività locale e di un’iniziativa che non è stata minimamente sponsorizzata) che stanno lì e seguono tutta quell’informazione e quella competenza completamente regalata per più di un’ora, senza che gli venga chiesto 1€.
Quando, dopo decine di dirette, la quarantena è finita, cos’è successo? Le persone hanno chiesto di avere in anticipo una bottiglia dello stesso vino che il giovedì seguente sarebbe stato spiegato e raccontato in modo da gustare la diretta e assaporare ogni spiegazione, con i produttori che hanno iniziato ad intervenire nelle dirette.
Quello che era branded content puro è ridiventato marketing, assestandosi come format.
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