Neuromarketing: come le neuroscienze posso spiegare le similitudini tra Religione e Brand

– Dalla rubrica di Salvatore De Marco, Cosa ti dice il cervello” –

Conosciamo ancora poco del suo funzionamento e milioni di neuroscienziati ogni giorno eseguono test ed esperimenti per provare a spiegare in che modo lavori quella stupenda macchina fatta di neuroni e connessioni chimiche che è il cervello umano. Ma la conoscenza non è mai fine a sé stessa. Molti utilizzano le scoperte e i risultati ottenuti in campo scientifico per trarne un profitto.

Di solito separiamo la sfera economica da quella religiosa. Siamo abituati a pensare che la morale, la spiritualità, il legame con il divino siano argomenti troppo personali ed intimi per essere relazionati ad una cosa materiale e comune come il denaro oppure alle aziende che ricercano il profitto.

Tuttavia, grazie alla creatività e alla curiosità di alcuni ricercatori, ad oggi sappiamo che il cervello non la pensa alla stessa maniera. Anzi, le risposte che la nostra testa dà agli stimoli religiosi e a quelli rientranti nel campo “economico”, in questo caso a prodotti o marchi affermati, possono essere molto più simili di quanto immaginiamo.

Il neuromarketing

Il neuromarketing è considerato uno dei dieci modelli di innovazione che cambieranno il modo di fare business negli anni a venire. Questo perché rappresenta un’innovazione radicale nell’ambito delle ricerche di mercato.
Attraverso le tecniche di ricerca di neuromarketing è possibile verificare l’efficacia delle comunicazioni di marketing grazie alla rilevazione delle reazioni neurofisiologiche generate durante la visione dei contenuti o la lettura dei messaggi promozionali.

In questo modo è possibile comprendere scientificamente i processi di elaborazione delle informazioni e i pattern decisionali delle persone.
Anziché affidarsi a questionari e focus group, questa scienza usa macchinari altamente sofisticati e costosi come la fMRI (neurostimolazione), l’eyetracking, la EEG (analisi elettrofisiologiche), la simulazione di esperienze attraverso realtà aumentata e virtuale.

Le scoperte avvenute in questi anni hanno dimostrato il ruolo fondamentale delle emozioni quali fattori decisivi nei processi decisionali e di acquisto. Fondamentale in questo campo è stato il lavoro di Antonio Damasio che ha ribaltato il famoso paradigma cartesiano del “penso-sento-agisco” e ne ha proposto uno nuovo derivato dai suoi studi sul cervello umano.

In particolare, è stato mostrato come l’uomo – anche se sarebbe meglio dire la neocorteccia – pensa, ma questo atto è semplicemente una post-razionalizzazione di una decisione presa a livelli più profondi del pensiero, che sono il cervello rettiliano e quello limbico. Queste due parti della materia grigia sono deputate a fornire risposte istintive (rettiliano) ed emozionali (limbico).

Il neuromarketing, quindi, offre l’opportunità di comprendere meglio e dall’interno come le persone prendono le decisioni e reagiscono agli stimoli. Ciò dà la possibilità alle aziende di comunicare nella maniera più efficace ed efficiente possibile, trovando la corrispondenza migliore tra quello che l’azienda vuole ottenere e quello che il cliente desidera.

Lo studio delle monache

Un altro importante studioso di neuromarketing è Martin Lindstrom. Quest’uomo, oltre a essere uno dei consulenti più richiesti al mondo, ha scritto un libro “Neuromarketing, attività cerebrale e comportamenti d’acquisto” nel quale tratta di un argomento che mi ha colpito particolarmente: gli elementi in comune tra la fede e i brand.

All’inizio, quando ho letto dell’argomento per la prima volta ero stupito, confuso e interessato, ma Martin è riuscito a spiegare in maniera molto efficace la sua teoria e i risultati dei suoi esperimenti.

Tutto è cominciato con lo “studio delle monache” diretto da due neuroscienziati dell’università di Montreal in Canada. L’esperimento aveva l’obiettivo di comprendere quali parti del cervello si attivano quando proviamo sentimenti di natura religiosa o quando siamo coinvolti in esperienze spirituali private.

Lo studio ha coinvolto 15 monache dell’ordine delle Carmelitane a cui è stato chiesto in primo luogo di rivivere un’esperienza emotiva profonda connessa con il divino e poi di ripensare ad un’altra avuta con un essere umano. I risultati dell’esperimento mostrano che nel primo caso si attiva una regione centrale del cervello (nucleo caudato) che produce le sensazioni di gioia, di serenità e anche di amore, mentre nel secondo caso l’attività del cervello registrata era differente.

La conclusione a cui sono giunti i neuroscienziati canadesi è che non esiste un singolo punto del cervello in cui risiedono i pensieri religiosi, ma che si attivano alcune aree piuttosto che altre quando le persone pensano alla religione e queste sono spesso diverse da quelle relative ai contatti tra esseri umani.

I 10 elementi in comune tra fede e brand

Partendo dai risultati di questo esperimento, Martin Lindstrom voleva dimostrare che è possibile rilevare quali aree del cervello si attivano quando proviamo sentimenti religiosi e, in particolare, identificare il collegamento tra spiritualità e brand.

Per fare ciò ha intervistato 14 importanti leader di diverse religioni come il cattolicesimo, il buddismo, l’islam, l’induismo ecc. per scoprire, nonostante le naturali differenze, quali elementi queste fedi avessero in comune.
L’attività di ricerca ha portato ad identificare 10 pilastri comuni su cui si basano le religioni contemporanee:

  • senso di appartenenza;
  • missione chiara;
  • potere sopra i nemici;
  • fascino sensoriale;
  • storytelling;
  • grandezza;
  • evangelismo;
  • simbolismo;
  • mistero;
  • rituali.

Anche se non tutte e non sempre, queste 10 caratteristiche si riscontrano in quasi tutti i brand affermati.
Il senso di appartenenza a un brand è quello che ci fa sentire membri di un club più o meno esclusivo. È lo stesso sentimento che proviamo quando incontriamo qualcuno che ha le scarpe uguali alle nostre o che provano gli spettatori ad un concerto del loro cantante preferito o ancora gli appassionati di moto ad un raduno dell’Harley Davidson.

Ci fa sentire membri di un gruppo, membri di una comunità con caratteristiche simili. Questa sensazione non è diversa da quella che provano le persone di un quartiere quando un giorno alla settimana si ritrovano in chiesa/moschea/sinagoga/qualsiasi luogo in cui si prega assieme.

La maggior parte delle religioni ha anche una missione chiara, un obiettivo che i fedeli mirano a raggiungere, sia questo durante la vita terrena o ultraterrena.

Allo stesso modo i brand di successo hanno un mission statement chiaro e forte che li guida nel perseguire le loro politiche di business. Motti come “Think different” o “Organizzare le informazioni del mondo in modo che siano universalmente accessibili e utili” sono diventati noti in tutto il mondo e non c’è neanche bisogno di dire a quali aziende appartengono.

Un’altra caratteristica molto particolare delle religioni e che puntano a esercitare un potere sopra i loro avversari, che siano questi infedeli o coloro che la pensano in maniera diversa.
Le guerre di religione sono parte integrante della storia umana e ancora adesso, anche nelle società occidentali, si sviluppano dibattiti, talvolta feroci, su questioni che sono a metà tra fede e morale.

Non volendomi addentrare troppo nel tema perché questo è un articolo relativo al marketing e non tratta di etica, la cosa più interessante è che anche i brand usano questa tipologia di mentalità per fidelizzare i consumatori.
Le famose guerre tra chi beve Pepsi e chi Coca Cola, chi va a mangiare al McDonald e chi sceglie Burger King, chi ha un telefono Samsung e chi uno e Apple.

La strategia del “noi-e-loro” attrae i fan, aumenta la fedeltà, sollecita la controversia e ci fa comprare.

Il fascino sensoriale è un altro elemento chiave delle religioni mondiali. La maestosità delle chiese o delle moschee, gli odori tipici dei luoghi di culto, gli affreschi, i dipinti e i mosaici fatti dai migliori artisti di ogni epoca, i suoni e le melodie delle cerimonie religiose. Tutti questi sono elementi che coinvolgono sensi diversi e ci consentono di percepire fisicamente la religione e fanno sentire i fedeli più vicini al divino.

Anche i brand più famosi utilizzano suoni, immagini e odori evocativi e ricorrenti. Un esempio tra i più famosi è sicuramente la campagna promozionale di Netflix che qualche tempo fa ha sfruttato per le sue pubblicità il famoso e ormai riconoscibilissimo suono del “Tu Tummm”.

Le religioni hanno molteplici libri (Corano, Nuovo Testamento, Torah ecc.) che raccontano le storie su cui si basano la fede e i principi che propugnano. Che siano parabole, metafore, miracoli o racconti macabri, tutte le religioni hanno un loro modo di fare storytelling e lo fanno anche bene se le stesse storie che vengono raccontate da millenni ancora non ci annoiano.

Ma anche i brand utilizzano lo storytelling per raccontarsi, basti pensare a quante aziende hanno musei o mostre che espongono la storia del brand o dei fondatori. Ad esempio, la Disney sullo storytelling e i racconti ci ha costruito un impero, riuscendo a ricavare miliardi dalle storie e dai suoi personaggi più iconici.

Molte religioni celebrano il senso di grandezza e di potenza. Soprattutto in passato gli edifici religiosi erano i più imponenti delle città e dei villaggi, erano molto sfarzosi, con soffitti a volta, meravigliosi affreschi e ogni sorta di gioielli e pietre preziose.

Il parallelismo con i brand è presto fatto. Pensate agli imponenti head quarter che solleticano il cielo dove risiedono i consigli di amministrazioni delle maggiori multinazionali o ancora i magnifici showroom delle marche di lusso: Lui Vuitton a Parigi, Prada a Tokyo, ma anche quello della Apple a New York. Tutti quanti costruiti in modo da far percepire la grandezza del brand.

L’evangelizzazione dei popoli e la diffusione della fede nel mondo è una delle missioni fondamentali delle religioni. Lo scopo è quello di far abbracciare la fede ad un numero maggiore possibile di persone grazie a coloro che sono stati già convertiti.

I brand non agiscono in maniera troppo differente. I programmi di affiliazione, di referral o le campagne “porta un amico” funzionano alla stessa maniera: l’obiettivo è attrarre nuovi consumatori, nuovi fedeli.

Per esempio, fino a non molto tempo fa le compagnie telefoniche permettevano chiamate gratuite solo verso persone che avevano lo stesso operatore.

O ancora, quando Google ha lanciato sul mercato il suo servizio Gmail ha attirato nuovi seguaci rendendolo accessibile soltanto attraverso l’invito e solo successivamente ha aperto le porte a tutti gli altri.

Il simbolismo religioso è un’altra caratteristica comune a molte fedi. Che sia una croce, una colomba, un candelabro, una statuetta, una mezzaluna, ogni religione ha i suoi simboli identificativi e riconoscibili tra tutti i fedeli.

Con il mercato che diventa più affollato ogni giorno che passa e il numero esponenziale di nuovi concorrenti, i brand più forti sono quelli che hanno puntato molto di più sulla riconoscibilità dei loro simboli, in particolare i loro loghi.
La mela morsicata della Apple, lo sbaffo della Nike, la doppia arcata dorata del McDonald, la freccia di Amazon, il cavallino della Ferrari e chi più ne ha più ne metta. Sono tutti simboli ampiamente riconoscibili e che hanno un significato profondo presso il pubblico di consumatori affezionati.

I misteri della fede sono un perno fondamentale delle religioni.
Il mistero, l’ignoto, il fatto che qualcosa non sia spiegabile dona quell’aura di spiritualità che ci stupisce e ci incuriosisce allo stesso tempo. Più il mistero si infittisce e più gli esseri umani ne sono affascinati. Pensate ai numerosi film sul Santo Graal o ai milioni di turisti attratti dalla Sacra Sindone a Torino.

Anche alcuni brand giocano con il mistero e l’ignoto per attrarre la curiosità delle persone. Il caso più famoso è sicuramente quello della ricetta segreta della Coca Cola, la cui formula è custodita con cura in una cassetta di sicurezza super sorvegliata di una banca di Atlanta.

I rituali e le cerimonie sono elementi all’interno delle religioni che permettono la condivisione di esperienze, il ricordo di eventi particolarmente importanti, il passaggio da uno stato ad un altro della vita spirituale ecc.
Il mondo cristiano ne è pieno: la comunione, il matrimonio, il giubileo, il funerale, la Pasqua, il Natale. Questi sono tutti rituali che hanno un significato particolare e permettono l’aggregazione dei fedeli nei giorni di festa, la condivisione di un evento gioioso o di uno spiacevole.

Anche le aziende hanno i loro eventi e le loro cerimonie, ad esempio gli eventi di lancio o le ricorrenze di date particolari come la fondazione dell’azienda, che radunano fan e fedeli da tutto il mondo.
Un caso particolare è quello delle conferenze tech di varie aziende che, soprattutto negli Stati Uniti, fanno il tutto esaurito per permettere a consumatori e appassionati di vedere in prima persona i progressi del brand nell’ultimo anno, quali saranno i nuovi prodotti che verranno lanciati sul mercato ecc.

L’esperimento

Dato che questi 10 elementi in comune tra brand e religione non avevano basi scientifiche ma erano solo ipotesi dedotte dalle interviste di Lindstrom, questi ha deciso di testare la sua idea con un esperimento neuroscientifico.

L’obiettivo dell’esperimento era quello di esaminare la forza di marche conosciute e che hanno un forte valore simbolico per molte persone, i cd. “Smashable Brands”, come Ferrari, Guinness, Apple e Harley-Davidson.
L’espressione smashable, ossia frantumabile, è nata quando nel 1915 la Coca Cola chiese ad un designer di progettare un packaging che i consumatori potessero riconoscere come una bottiglia Coca Cola anche se fosse stata frantumata in 100 pezzi.

Queste marche famose sono state messe accanto a immagini religiose, immagini sportive e immagini di brand deboli[1], ossia che generalmente suscitano scarso coinvolgimento emotivo nelle persone, per poter osservare quali aeree del cervello si attivavano in risposta alla visione di ciascuna di queste immagini.

L’esperimento era molto semplice. In una prima fase è stato chiesto a 65 soggetti maschili di dare un punteggio da uno a 10 alla loro spiritualità. La maggior parte ha dato una risposta compresa tra 7 e 10, quindi moderatamente elevata.

Uno dopo l’altro i volontari si sono sottoposti alla fMRI (risonanza magnetica funzionale) mentre, a luci spente, su uno schermo scorrevano le immagini di una bottiglia di Coca Cola, del Papa, di un iPod, di una lattina di Red Bull, di Madre Teresa, del logo di eBay, di una macchina sportiva Ferrari, delle immagini di squadre e di campioni del football americano, di una chiesa, del Super Bowl, di una carta American Express, di una suora ecc.

Alla fine dell’esperimento, una volta che i dati sono stati analizzati, si è scoperto che le marche forti provocavano in diverse aree del cervello un’attività più intensa rispetto a quella delle marche considerate più deboli.
In particolare, quelle deputate alla memoria, alle emozioni, al significato e ai processi decisionali.
Ciò non ha stupito più di tanto i ricercatori.

Le immagini relative al mondo dello sport hanno attivato risposte emotive differenti rispetto a quelle dei brand; infatti, erano collegate principalmente con il senso di ricompensa.

Il risultato più affascinante, invece, è quello che si osserva quando si comparano gli schemi di attività del cervello in risposta alle immagini religiose e ai brand più forti: erano identici.
La conclusione a cui sono giunti Martin Lindstrom e il suo team è che non c’è una differenza apprezzabile fra il modo in cui il cervello dei soggetti reagiva di fronte ad una Guinness, una Ferrari oppure un iPhone e il modo in cui concepiva le icone e le immagini religiose.

La cosa davvero sorprendente di questo esperimento è che i brand e le aziende di successo sono riusciti ad entrare così tanto nella nostra testa e nei nostri desideri più profondi che il nostro cervello le interpreta alla stessa maniera di un sentimento così intimo e personale come la fede.

La comunicazione o meglio la trasmissione del brand non è solo una tecnica di vendita. È un modo per far provare emozioni alle persone, per generare ricordi ed associazioni positive e fidelizzare i consumatori anche a vita.

Questo ci dovrebbe far comprendere che quando andiamo al supermercato, al centro commerciale, a fare shopping o quando intendiamo comprare un nuovo televisore, un pc, un telefono, ma anche banalmente un pacchetto di gomme, non è solo la parte razionale del nostro cervello, quella dell’analisi costi benefici, che si attiva, ma c’è un intero mondo di neuroni, ricordi ed emozioni che intervengono nel processo di acquisto, facendoci scegliere una marca piuttosto che un’altra. Pensateci la prossima volta che comprerete qualcosa.

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