Marta Basso, regina digitale del movimento “Stop Whining”

Intervistare personaggi del suo calibro provoca ansia per un motivo particolare. Ha ricevuto numerose interviste, e infinite domande, dunque il pericolo di sottoporle una domanda già fatta è sempre dietro l’angolo.

Marta Basso è semplicemente uno dei nomi, e soprattutto dei volti, da conoscere, seguire e ammirare nell’hinterland digitale italiano.

Ha maturato esperienza accademica all’estero, ha vinto il contest “CEO for 1 month” di Adecco e ha fondato il movimento stop whining.

Contro le lamentele moderne, contro la pigrizia intellettuale, Marta diffonde il suo verbo usando qualunque touchpoint digitale le si ponga davanti.

Abilissima davanti alla camera, è protagonista di una video strategy verticale su LinkedIn che propone pillole quotidiane legate all’idea di stop whining nel settore del digitale e dell’innovazione in generale.

Ci auguriamo di averla presto in Aula. Chissà, forse a Milano.

Per voi, le sue parole.

🎯  Parlaci di te da piccola. C’erano dei segnali del tuo carattere, e delle tue azioni, che potevano anticipare la tua attuale capacità di stare in pubblico con così tanta scioltezza?

“Lascerò un link a un pezzo che ho scritto per leading myself, un blog sulla leadership perché ritengo che parlare della propria infanzia anche quando non ha esplicitamente chiesto sia sempre necessario, o meglio non parlarne, ma tenerla in considerazione. Non passa giorno che non passi a pensare almeno una piccola parte del mio tempo a come ero quando ero piccola.

Sicuramente volevo sempre essere il capo di tutto, tante volte con atteggiamenti anche un pochino prepotenti – che fortunatamente ho imparato a smussare grazie alle circostanze della vita e soprattutto grazie alla scuola da molto molto piccola e soprattutto grazie a una costante curiosità. La stessa curiosità che a livello di sensazioni di emozioni ancora trovo alla stessa identica maniera nella mia vita di tutti i giorni per quanto concerne la scoperta di cose nuove. Questa è la stessa ragione per la quale mi piaceva studiare ma mi piaceva anche andare in avanscoperta (da qui forse la mia passione sfrenata e maniacale per la geografia) ed essere sempre sempre sulla cresta dell’onda della curiosità. Questo credo che mi spinga ancora adesso perché le sensazioni che provo sono, appunto le stesse.

Al di là delle delle emozioni che credo comunque sia una fortuna avere quello che sicuramente si vedeva già da quando ero piccola: uno spirito imprenditoriale non indifferente… e ci sono le prove! Come racconto sempre: ho venduto le albicocche del mio giardino sul per strada come vedevo fare nei film americani, ma anche, d’altra parte, sono spesso stata ripresa da mio padre mentre fingevo di fare la giornalista oppure gli inviata sportiva oppure la cantante, l’attrice…

Un modello particolare che io avevo quando ero piccola era Lilli Gruber che per me rappresentava la la più grande aspirazione a livello lavorativo – volevo essere la Lilli Gruber della musica rock o dello sport! In linea generale tenderei a dire che comunque la ricerca della parte di me più piccola sempre sempre sempre fondamentale e cerco di non perderci mai la connessione perché se lo facessi non farei più fede a ciò che sono. Credo che questo sia fondamentale per tutti e tengo anche spesso a ripeterlo sia nei miei video sia quando mi intervistano”.

🎯A proposito di piccoli: parliamo di stop whining, che in realtà ha un target molto più adulto, ma sempre le lamentele combatte. Quando hai elaborato questo motto e come lo hai comunicato nel tempo?

“Dunque il motto stop whining nasce alla fine dell’estate 2015 il momento in cui ho dovuto affrontare moltissimi cambiamenti sia a livello professionale che personale. Quel momento è stato chiave perché mi sono laureata e sono partita per Londra e poi per San Francisco un mese e mezzo dopo dalla laurea, e li ho ritenuto un po’ per necessità un po’ per volontà chiudere moltissime relazioni che erano state fondamentali fino a quel momento, le stesse che avevano contribuito a farmi crescere.

E come spesso accade, ho ritenuto che dare questo taglio forse volesse davvero dire andare andarmene dal Veneto, andarmene dall’Italia. Chiaramente non è stato tutto facile, anzi, è cominciata una parte molto difficile della mia vita. Da quel momento in poi che però mi ha cambiato la vita davvero questa parte è stata aut-aut mi ha aiutata a capire davvero il valore dello stop whining e fino a dove ci si può spingere solo ed esclusivamente con questo principio.

Certo con il duro lavoro, forse con il talento, ma questi sono tutti i concetti che mi danno un po’ sui nervi. Credo che alla fine lo stop whining sia la parte necessaria e fondamentale per ogni tipo di progetto, di obiettivo, che ci possiamo porre. Dopo 2 giorni che sono arrivata a Londra mi sono fatta male: ho rischiato di rompermi l’osso sacro e per i primi mesi non passava notte che non avessi tanto dolore da svegliarmi. Poi, dopo due mesi, successi gli attentati di Parigi. In tutto ciò, tutto il mio periodo a Londra l’ho passato in un ostello avendo speso tutti i soldi che mi aveva lasciato mio nonno in eredità, proprio per l’università.

A volte avevo la sensazione di non potermi permettere tutto quello che si permettevano i miei compagni di corso e probabilmente era vero, ma avevo sempre chiaro in testa che tutto quel sacrificio mi avrebbe portato a qualcosa. Non avevo ben chiaro esattamente che cosa fosse, come si sarebbe declinato nella realtà, ma sapevo che doveva essere collegato allo stop whining e che lo stop whining mi avrebbe portato lì.

A un certo punto della vita ci si rende conto che tutto quello che è stato non conta più niente, contano solo gli obiettivi a lungo termine che si rompono in obiettivi a brevissimo termine e che richiedono i nostri sacrifici. Per questo lo stop whining per molto è stato esclusivamente il mio modo di essere il mio modo di fare. Finché a un certo punto ho ritenuto che il progetto che avevo dentro fosse troppo grande per rimanere dentro e ho intuito il vero potenziale che queste due parole potevano avere per per cambiare la vita delle persone”.

🎯 Liceo Pigafetta, College Ca’ Foscari, Hult International Business School. Come sei passata da uno step all’altro e, soprattutto, che ne pensi della formazione moderna?

“Partiamo dall’inizio. Io ritengo che la scuola mi abbia forgiata in maniera quasi eccessiva ad affrontare moltissime difficoltà della vita, moltissimi ostacoli della vita. Parliamoci chiaro: prima o poi li affrontano tutti, ma io li ho dovuti affrontare da molto giovane, da ragazzina. Non è stato semplice ma devo dire che alla fine la scuola superiore mi ha davvero insegnato molto non solo in termini di basi culturali fortissime ma anche in termini di ‘come si sta in società’.

L’Università Ca’ Foscari, che è un orgoglio di famiglia, visto che io sono mezza veneziana e anche mia mamma ha studiato lì, mi ha completamente cambiato il modo di pensare, perché io da liceo linguistico sono andata a studiare economia che era qualcosa di completamente diverso, all’epoca quasi impensabile.

Se c’è però un punto della mia formazione che davvero mi ha cambiato la vita, è stato perché sicuramente Hult: certo, la base teorica molto forte della formazione italiana mi ha permesso di aprirmi davvero la testa su moltissime cose, ma Hult mi ha dato molto più che le materie in sé e la formazione didattica, quanto più sulla formazione umana – formazione nel vero senso della parola.

È riuscita a coniugare probabilmente nella sua totale internazionalità un approccio sia teorico che pratico che per me è stato davvero un approccio a tutto tondo: mi ha aperto la mente e mi ha spinta a capire che forse voler fare l’imprenditrice, sentirsi imprenditrice, avere il desiderio di aiutare le altre persone con un progetto, e di anche dare lavoro alle persone con il proprio lavoro ai propri investimenti, andava bene.

Questo la scuola e l’Università italiana non me l’ha mai segnato. Devo dire che sicuramente sarebbe facile dire che Hult mi ha cambiata perché mi ha fatto vivere all’estero mi ha messo in contatto con tante culture diverse allo stesso tempo. Però devo dire che una mescolanza perfetta tra quello che Hult pone, quindi la parte pratica all’ennesima potenza, e quello che l’Università italiana sa dare a livello teorico, potrebbero costituire forse la formazione perfetta per i ragazzi di oggi, e per il mondo di oggi.

Purtroppo devo dire che a parte Hult ed altri esempi virtuosi non ho visto grandi investimenti sulla formazione digitale che sono ancora troppo troppo bassi, soprattutto in Italia. Penso che ad oggi nel nostro paese andrebbe fatta una serissima riflessione su come stiamo preparando i nostri giovani al lavoro secondo me in questo la scuola università italiana ma anche la politica italiana sono tremendamente in fallo, esattamente come le aziende, e ci sarebbe bisogno di uno sforzo collettivo, anche prendendo esempio dall’estero, senza copiare spudoratamente ma cercando di prendere il meglio di quello che hanno da offrire le realtà estere.

In questo modo i nostri ragazzi non saranno per forza emigrati ma potranno decidere di emigrare, senza esserne costretti. Questa è una fondamentale differenza che mi sento purtroppo di dover sempre esplicare perché è molto facile additare chi va all’estero come quello ha voluto andare all’estero senza vedere che cosa c’è in Italia. In realtà, purtroppo, la formazione italiana da un certo punto di vista è ad oggi palesemente carente, e credo che un’esperienza all’estero possa davvero aprire la mente. Però dovremmo puntare come paese Italia ad aumentare le employability dei nostri ragazzi e dunque aumentare anche la nostra competitività come realtà economica nazionale e internazionale”.

🎯 Sei salita alle cronache per tanti motivi, ma in particolare per aver vinto il “CEO for 1 month” di Adecco. Come hai fatto a battere tutti gli altri partecipanti e cosa ti sei riportata a casa da questa esperienza?

“Il modo con cui ho battuto 11300 e passa candidati è stato solo uno ed è composta due parole: stop whining. Se io non avessi avuto questa filosofia, non avessi avuto questa forza, non sarei neanche probabilmente arrivata alle fasi finali. Ripeto è l’unico differenziante che ci distingue da tutti gli altri e credo che ci permette di ottenere ciò che vogliamo, ci permette di avere un impatto, ci permette davvero di cambiare la vita delle persone, cambiando per primi la nostra.

Credo che lo stop whining che poi è stato declinato è definito in vari modi, tra cui la mia genuinità, perché se non si al meglio che posso in ogni evento e tavola rotonda. Quindi invitano purtroppo la maggior parte delle volte siete solamente la generazione più vecchia, genuini sia solo un progetto a breve termine, non si riesce a essere un progetto a lungo termine, sia stato davvero quello che è stato ciò che mia differenziata da tutti gli altri. Non ero costruita, avevo una fortissima motivazione, e sapevo che cosa volevo.

Ho scoperto, aldilà di una conoscenza approfondita del settore, la consapevolezza totale di quanto si possa ottenere finendo la di trovare scuse per qualsiasi cosa. A parte questo, l‘esperienza mi ha sicuramente lanciata mediaticamente e mi sono ritrovata in men che non si dica essere la portavoce della mia generazione dei millennials nel mondo del lavoro e dei giovani lavoratori dei neo laureati italiani. Mi ha aperto veramente un mondo che poi ho approfondito e forse ad oggi ho imparato a conoscere ancora meglio a portarne avanti la bandiera, dove a volte siede quasi solo la generazione più vecchia”.

🎯 La tua chirurgica capacità di utilizzare i social media, e in particolare anche le nuove piattaforme emergenti, costituisce uno degli elementi di forza del tuo personaggio. Curi la tua identità in rete in modo intelligente e ragionato, e il tuo nome viene conosciuto da sempre più addetti ai lavori. Qual è la molla che ti spinge a produrre sempre nuovi contenuti e che obiettivi nella gestione del tuo brand personale?

“La molla che mi spinge a creare sempre nuovi contenuti e a ricondividerli, a commentare, a interagire interfacciarmi con gli utenti della rete, ma anche con gli esseri umani che stanno dietro agli utenti della rete, quindi sia online che offline, credo che lo stop whining sia nella sua estrema semplicità e quasi banalità davvero l’unico differenziante per raggiungere i nostri obiettivi e quindi credo che ogni piccolo confronto possa essere utile per portare avanti questa filosofia e renderla davvero davvero virale.

È contagiosa per tutti, soprattutto per chi ne ha più bisogno, di modo che chi la conosce la pratica, si chiama stop whining Ambassador, e possono essere davvero degli ambasciatori consapevoli e possono contagiare a loro volta delle persone. Soprattutto può essere molto utile per coloro che hanno bisogno di un la spinta, per coloro che ancora non ci credono, e per coloro che tutto il potenziale che hanno dentro ancora non lo conoscono o non hanno avuto modo di scoprirlo. Per citare una mia collega, il potenziale è una grandissima fregatura, ed è vero che lo è, soprattutto se noi stessi siamo i primi a non crederci. Quindi stop whining, sempre”