Gabriele Francalanci, Creatività & Storytelling ai Tempi del Digitale

Interior Designer a New York, in Cile e in Italia per IKEA, ecco le tappe di un percorso professionale ricco di stimoli creativi e in continua evoluzione

Abbiamo conosciuto Gabriele Francalanci sul posto di lavoro. Proprio adesso infatti naviga i mari di Sun-TIMES, agenzia di comunicazione con sede a Milano e La Spezia che lavora con brand di carattere nazionale e internazionale. Ha iniziato la sua nuova esperienza di lavoro a ottobre, pochi mesi dopo essere tornato da un’avventura targata Cile durata un anno. Di Gabriele non ci ha colpito solo il background internazionale. Ci ha colpito soprattutto la mentalità, aperta, tipica di chi ha conosciuto un altro punto di vista sul mondo e ha un approccio illuminato alle sfide creative.

Per dirne una, Gabriele Francalanci fa parte del team di Storybizz – primo podcast in Italia sul business storytelling. Il progetto nasce dall’idea, nobile e interessante, di applicare le regole della narrazione moderna dei progetti imprenditoriali. Perché alla fine tutto può essere raccontato attraverso le vie dello storytelling: le aziende, le campagne, i prodotti.

Fun fact: Storybizz nasce nelle Aule di Ninja Academy, nostro concorrente nel settore della formazione, e non abbiamo alcun problema a renderlo noto. Tanto di cappello per aver creato il giusto contesto in cui far germogliare un’idea del genere. Dopotutto, le scuole non devono solo insegnare. Sono soprattutto dei preziosi contesti sociali in cui persone in gamba possono avere una scusa in più per incontrarsi, scambiare idee e, magari, avviare un progetto.

Non sappiamo che direzione prenderà Gabriele Francalanci nel futuro. Tuttavia, considerando quanta strada ha percorso negli anni passati, prevediamo che la sua creatività lo porterà molto lontano. E non parliamo necessariamente di una lontananza geografica, perché Gabriele ha già assaporato il gusto dell’estero, piuttosto ci riferiamo a una distanza in termini di carriera.

Una previsione? Lavoreremo con lui entro il 2022. Segnatevi queste parole, ci rivediamo in 5 anni. Nel frattempo, condividiamo con voi l’intervista a Gabriele.

Quali sono stati i pro e i contro delle tue esperienze all’Università degli Studi di Firenze e allo IED?

“Non sono mai stato uno studente modello, e forse questo influisce sul mio modo di vedere le cose, ma nonostante ciò vedo l’Università tradizionale come una condizione necessaria e sufficiente. Mentre vedo nell’Università privata un lusso relativo.

Mi definisco un autodidatta, termine che tuttavia non mi piace sia perché ha un brutto suono sia, soprattuto, perché manca di rispetto a chi ha dedicato del tempo a farmi lezione. Purtroppo però, o per fortuna, credo che esserlo sia utile se non fondamentale per trovare la propria finestra sul mondo, il proprio metodo di studio, analisi e applicazione.

In una società che spesso va più veloce dei propri pensieri essere sicuri di ciò che si dice, o si pensa, sulla base di un metodo proprio e per questo originale, diventa quasi auto-conservazione. Ecco, diciamo che più che autodidatta io sono un auto-conservatore, uno che ringrazia i propri professori”.

IKEA è indubbiamente il brand che svetta più in alto di tutti sul tuo profilo LinkedIn. Più di due anni di esperienza ti hanno portato a vivere diverse fasi della tua carriera, maturando degli avanzamenti professionali dai quali sicuramente sei uscito arricchito. Quali sono state le sfide più difficili che hai dovuto affrontare nella pancia del colosso svedese?

“Ikea è una realtà davvero enorme sia dentro che fuori dalla scatola blu del negozio. Dico questo perché nel periodo in cui ci lavoravo ho avuto spesso la sensazione di essere in un altro mondo tanto complesso e caotico quanto quello reale. Può sembrare un sentimento inquietante ma in realtà è bello pensare che entrando in una realtà lavorativa come quella si entri in una vera e propria famiglia, con le sue regole e le sue gerarchie.

Per assurdo pero è proprio su questo aspetto che ho riscontrato le difficoltà più grandi. Le regole erano troppe e, per uno come me, che vive di idee e di relativo entusiasmo, alla lunga mi avrebbero tolto l’aria”.

Il desiderio di espandere i propri orizzonti professionali non è comune a tutte le persone. Ancora meno comune è la capacità di lavorare – specie in una finestra temporale ridotta – in contesti internazionali così distanti dal proprio contesto di origine. Cosa hai fatto nello specifico a New York e in Cile e cosa pensi di esserti riportato a casa da quell’esperienza?

“New York e Santiago sono esperienze che mi sono voluto prendere in momenti molto diversi nella mia vita. Se non altro perché a New York sono andato da solo mentre a Santiago con la mia dolce metà. Al di là delle differenze culturali dei due paesi ho potuto cogliere la differenza tra un metodo di lavoro, diciamo, statunitense e sudamericano per confrontarli con quello svedese.

È stato davvero interessante mettere a paragone la precisione svedese con lo stacanovismo statunitense e la spensieratezza latina. A questo punto potrei fare il figo dicendo che mi sono portato dietro tutto questo ma in realtà ricordo più chiaramente hamburger incredibili, Pisco Sour magici e persone a cui voglio un gran bene”.

Business e Storytelling non sempre vanno di pari passo. Il business rimanda ad una visione meramente economica della vita lavorativa, mentre lo storytelling ha un’accezione più aulica – legata alla capacità di raccontare frammenti nella realtà in modo emozionale, quasi teatrale. Come nasce dunque il podcast di Storybizz e cosa rappresenta nel concreto il Business Storytelling?

“Storybizz è nato tra i banchi di una scuola come la Digital Combat Academy. Circa un anno infatti fa alcuni ragazzi del corso in Corporate Storytelling di Ninja Academy hanno avuto l’idea di creare un podcast interamente dedicato al business storytelling, con lo scopo di unire questi due concetti apparentemente lontani e realizzarne un modello per fare impresa.

Io mi sono unito a loro in un secondo momento perché volevo dare il mio contributo sull’argomento. La cosa che più mi affascina dello storytelling è la sinergia che si crea tra il lato strategico e creativo. Trasformare una storia in un un contenuto visivo transmediale trascende dal concetto di storia tradizionale. Con il business storytelling la storia diventa interattiva, raccontare il perché faccio impresa invece di raccontare come lo faccio, ispira le persone a fare lo stesso. Il business dovrebbe sempre essere in movimento, in un ricambio continuo di idee diverse e iniziative ambiziose. Io e i miei colleghi nel nostro piccolo proviamo a fare questo”.