Daniele Giussani, come sviluppare la competenza dello storytelling

La laurea in Scienze Economiche, la tesi sulla brand identity nello sport, il passato da poker player

Daniele Giussani ha bussato alla nostra porta per autocandidarsi come storyteller della Digital Combat Academy. La sua innata capacità di rappresentare la realtà, mista ad una fine ironia tutta romana, rendono ogni suo scritto un piacere per gli occhi. Qui trovate la sua prima settimana di narrazione.

Daniele è questo è tanto altro. Ha affrontato un percorso accademico in Scienze Economiche, evidenziandone virtù e criticità. Ha sfruttato il tempo della tesi per approfondire un tema a lui evidentemente caro, quello dello sport. In particolare ha analizzato come le società calcistiche possano costruire una solida brand identity per legare ancora di più i tifosi a sé e accrescere il proprio valore sul mercato.

Last but not least, ci ha raccontato sia in video che qui dell’intervista del suo percorso da poker player – un’arte che combina elementi di matematica, psicologia e tante altre soft skill che solo i veri giocatori riescono prima a riconoscere e poi a padroneggiare.

Nell’attesa, felice e curiosa, di leggere le sue prossime opere di storytelling per la nostra scuola, vi lasciamo alla sua intervista.

La Facoltà di Economia è una di quelle che sta subendo il maggiore impatto di un mondo che cambia. Le banche perdono centralità, la blockchain riscrive il modo in cui la ricchezza può essere trasferita e il digitale ribalta le tradizionali regole del marketing. Che giudizio complessivo daresti della tua Laurea in Scienze Economiche?

“Per quel che riguarda prettamente la facoltà di Economia Tor Vergata il giudizio complessivo è abbastanza positivo, anche se con la pergamena tra le mani mi sono sentito comunque incompleto; i docenti sono molto preparati, alcune materie grazie a molti di loro rimangono al passo con i tempi. La struttura offre diverse funzionalità per gli studenti.

Viceversa, giustamente come tu dici il mondo cambia molto repentinamente, e qui è la facoltà a non riuscire a stare al passo con i tempi. E lo dico da studente che ha vissuto l’università in due intervalli, visto che ho lasciato gli studi per un buon periodo; quando sono tornato erano passati tanti anni dalla mia iscrizione ma il mio ‘secondo tempo’ non è stato tanto diverso dal primo. Le ‘regole temporali’ non sono state riscritte e questo credo sia un problema di tutto il settore universitario, o almeno in gran parte.

Secondo il mio modesto parere le università dovrebbero cambiare radicalmente il punto di vista della ricerca e sviluppo. Tra i corridoi dei ricercatori ho percepito troppo egoismo e poca abnegazione verso il lavoro e la crescita di una nazione”.

Sei riuscito a fondere formazione e passione proprio al completamento del tuo percorso accademico. Quali sono i concetti chiave emersi dal tuo lavoro di tesi sulla brand identity in ambito sportivo?

“Negli ultimi anni tantissime società di calcio sono state acquistate da imprenditori pronti ad investire ingenti somme di denaro per generare profitto. Questo sistema business-oriented ha creato una grande industria economica che ha definitivamente trasformato lo scopo dei club in vero e proprio lucro.

Ho costruito il mio lavoro cercando di rispondere ad una semplice domanda; come possono le società sportive pensare di creare una giusta strategia di brand identity se i propri tifosi rimangono scontenti? Sembra assurdo ma tantissime campagne di brand identity avviate dalle società di tutta europa sono state un totale fallimento. Operatori di marketing, pagati milioni di euro, che non capiscono la sostanziale differenza tra tifoso e cliente e che quindi di conseguenza non riescono a dare risalto al profondo valore e significato al sentimento di affiliazione che c’è dietro al brand di una squadra.

C’è una sostanziale differenza tra restyling e ‘alterazione identitaria’, ma chi lo capisce si conta sulle dita di una mano. I cambiamenti per fini prettamente commerciali hanno annichilito la concezione più profonda di un brand vissuto spiritualmente come un’idea e una fede, non come semplice marchio di un qualsiasi prodotto. Il cammino strategico che le imprese sportive dovrebbero percorrere si orienta verso concetti di marketing relazionale, sviluppando intuizioni collegate al dialogo, alla fiducia e al rispetto reciproco”.

Nella tua Video-Candidatura hai raccontato della tua esperienza come giocatore di poker, un tratto ricorrente in molti professionisti italiani. Cosa ti sei riportato a casa da questa esperienza di gioco?

“Ho avuto la fortuna di vivere questa esperienza da entrambi i lati della barricata, sia da giocatore online sia da blogger e storyteller. Posso dirti senza falsa modestia di avere una completa visione a 360° di questo settore. Quando ci siamo scambiati le prime parole su WhatsApp mi hai colpito dicendo ‘spero tu giocassi alla texana dove vedo meritocrazia’.

Rarissime volte ho sentito accostare questa parola al Texas hold’em (o poker sportivo come piace in Italia) ma credimi che questa è una disciplina dove nel lungo periodo, attraverso lo studio metodico, la pazienza, la conoscenza, l’applicazione e il confronto con chi la pensa e lo vive come te, si riesce a padroneggiare chi ‘finge di sapere’.

Il tavolo da poker testa il tuo carattere, se non reggi la pressione o non capisci che una mano sfortunata incide solo nel breve periodo puoi incolpare solo te stesso. Il poker esalta i tuoi difetti, sta solo a te controllarli e gestirli. Questa esperienza mi ha dato tanto dal punto di vista psicologico imparando a gestire le mie emozioni. Se sai cogliere le sfumature, oltre naturalmente ai soldi, puoi imparare molto di bankroll management e gestione finanziaria.

Poi naturalmente amici, notti in bianco con la speranza di sbancare e tante, tantissime storie da raccontare. Dei lati negativi ne parliamo a voce”. 🙂

Quello del marketing digitale è un mondo sconfinato. Ci sono discipline più verticali e operative, e altre più orizzontali e strategiche. Ad oggi quali sono le materie che stuzzicano maggiormente il tuo appetito professionale?

“Quello che stuzzica maggiormente il mio appetito professionale è innanzitutto l’irrazionalità che si nasconde dietro il marketing e il lato alchemico del brand. Mi piace definirmi ‘un eretico’ alla continua ricerca di creatività e innovazione. Non so stare fermo e seduto dietro una scrivania, quindi non posso fare a meno di stare nel marketing per creare attraverso il dinamismo, l’intraprendenza e il rinnovamento.

Conoscere il marketing digitale è imprescindibile e inevitabile. Non ho ancora scelto una materia in particolare, anche perché credo di potermi ‘plasmare’ in diverse discipline. Come oggi spiegavi in aula come prima cosa bisogna saper ascoltare, di conseguenza farò altrimenti e alla fine attraverso i vostri consigli saprò trovare la dimensione più adatta alla mia forma mentis”.