Come New Media & Old Media raccontano la disabilità

– Dalla rubrica di Cecilia Pisanti, “Inclusività & Digitale” –

Niccolò Machiavelli disse “Ognuno vede quel che tu pari, pochi sentono quel che tu sei”.

È vero! Quindi è un obbligo, per la persona disabile,far sentire la persona e non semplicemente farla vedere.

Un episodio bizzarro che mi è capitato un po’ di tempo fa, e ci tengo a raccontarvelo è: un giorno ero in auto con un mio amico, cercavamo un parcheggio, vidi delle strisce gialle che segnalavano un parcheggio disabili, gli dissi “Parcheggia qui!”. Lui mi guardò, anche un po’ infastidito, e mi disse “Non posso, questo è un parcheggio per disabili!”. Io lo guardai allibita, col tagliandino per il parcheggio disabili in mano. Lui disse “Uh scusa, mi ero proprio dimenticato!”.

Tutto ciò non per sottolineare che la disabilità va nascosta ma, per rappresentare come un amico, un parente, una persona che vi conosce, non vi vede solamente, pensa e parla di te come persona, non si focalizza su dove siete seduti.

La disabilità e i media

Dunque, l’unico modo per promuovere l’inclusività, è quello di diffondere la conoscenza.

Attualmente, abbiamo tanti mezzi per diffondere la conoscenza: giornali, libri, e-book, tv, cinema, social media e altro.

Ogni azienda promuove l’immagine del disabile come ritiene giusto farlo.

Si è reputato giusto, introdurre l’immagine di una persona in sedia a rotelle, con barbie Fashionistas, che ha anche una rampa per l’abbattimento delle barriere architettoniche, al fine di renderla “comune” anche per i bambini dai 3 anni in su.

Si stanno producendo sempre più film con persone disabili: ne nomino giusto qualcuno, “Quasi amici”, “Corro da te” e il vincitore dell’Oscar 2022 come Miglior Film “Coda – I segni del cuore”.

In “Quasi amici” mi ha molto colpito la frase del protagonista, tetraplegico: “Esattamente questo quello che voglio, nessuna pietà. Spesso mi passa il telefono, sai perché? Perché si dimentica. È vero, non ha una particolare compassione per me, però è alto, robusto, ha due braccia, due gambe, un cervello che funziona, è in buona salute. Allora di tutto il resto a questo punto, nel mio stato, come dici tu, da dove viene, che cosa ha fatto… io me ne frego.

Questa non voglia di pietismo è perfettamente rappresentata nel secondo film, “Corro da te”: la protagonista è bellissima e talentuosa, il protagonista si innamora di lei quando inizia a guardarla, non a vederla solo come la sfida di portarsi a letto la disabile. La frase “Mi piace che mi guarda come una donna” sembrerebbe un’ovvietà, ma, vi assicuro che non lo è: si sprecano congetture, comportamenti inopportuni e irrispettosi ma involontari, quando la realtà è più semplice, e quando non è perfettamente chiara basta una domanda.

Purtroppo, il film “Coda” non l’ho visto ma, il fatto che un film su una famiglia di sordomuti abbia vinto vari premi, tra cui 3 premi Oscar (Oscar al miglior film, Oscar al miglior attore non protagonista, Oscar alla miglior sceneggiatura non originale), sottolinea la volontà nel voler introdurre la disabilità nel migliore dei modi.

Inoltre, non dimentichiamoci l’influenza che hanno i social media nella nostra vita!

Ci sono travel blogger, fashion addict, stilisti, modelle/i, creatori di app, designer e altro, disabili o che lavorano per la disabilità, animati da un unico desiderio, cioè inculcare la definizione dell’OMS: disabile è colui che ha una menomazione, handicappato è un disabile che viene limitato dalla società.to

Per l’appunto, i social media hanno dato grande visibilità al movimento Body positive: il movimento sfida i canoni e i pregiudizi della società sui corpi, considerandoli tutti ugualmente belli/utili/degni nella loro diversità. I social media, con Istagram come aprifila, filtri a parte, hanno permesso di creare una nuova estetica più inclusiva, dando vita a uno spazio in cui tutti potessero sentirsi rappresentati. Non solo influencer della disabilità ma, sui social, il messaggio viene diffuso e raccontato, anche grazie a celebrità come Arisa, Ashley Graham, Emma Marrone e Lizzo che si battono per una società più inclusiva e veritiera.

Dunque, ho potuto constatare che sicuramente il digitale e i media possono aiutare molto, ma occorre saperli usare: bisogna riuscire a divulgare il più possibile un messaggio di inclusione tramite video – foto – reel e tutto ciò che i social mettono a disposizione.

D’altronde, l’unico nemico è sempre lei, l’ignoranza!

Bisogna conoscere, documentarsi, e quale modo migliore se non quello di far entrare le persone nella propria quotidianità?

Collegati con Cecilia Pisanti su LinkedIn.