Antonio Quintino Chieffo, l’importanza della due diligence per gli investimenti in startup

Il punto di contatto tra te e questa scuola nasce da un semplice post Facebook. In modo breve e incisivo hai condiviso la notizia della truffa organizzata da Theranos. Ci spieghi cosa è successo?

“È successo e succede che nel mondo delle start up si annidino dei truffatori o nelle migliori delle ipotesi dei furbacchioni. Gli investitori spesso non sono molto preparati e si fanno accecare da un facile profitto.

L’altra faccia della medaglia è che invece ci sono molti imprenditori bravi e capaci con dei business che funzionano e che faticano a trovare capitali. Questo prevalentemente perché non a conoscenza degli strumenti”.

Nel tuo commento parli dell’importanza di finanziare una due diligence tecnica prima di passare all’investimento. In questo modo l’analisi di un progetto innovativo viene passata al setaccio, e vengono evidenziate eventuali falle nel sistema. Cos’è una due diligence tecnica e cosa ha fatto emergere in passato nella tua esperienza?

“Personalmente ho maturato esperienze manageriali di tipo finanziario. Non sempre ho esperienza in un settore e anche quando penso di possederla voglio sempre il punti di vista di uno o più tecnici. Una due diligence tecnica è una verifica di tutti i processi tecnici di carattere non economico / finanziario”.

È importante questa fase per evitare di acquistare a dei prezzi non convenienti le quote delle società target. Mentre in alcuni casi in assenza di una due diligence tecnica il rischio è quello di perdere tutto l’investimento. Vedi caso Theranos.

Facciamo un passo indietro e dipingiamo un quadro più ampio delle tue attività. In quanto angel investor sei sottoposto a proposte di investimento continue, molte delle quali possiamo immaginare siano completamente campate in aria. Quali sono i problemi principali che riscontri negli imprenditori – o presunti tali – che ti chiedono soldi per credere nella loro idea?

“La differenza va fatta in Italia e all’estero. In italia 9 progetti di 10 hanno un modello di business non sostenibile e gli imprenditori italiani non sanno lavorare sulla programmazione dei cicli di business. All’estero sopratutto in Israele o in Regno Unito trovo una managerialità elevata, spesso anche fatta da italiani. Qui il problema è che in italia molti startupper vogliono solo monetizzare la loro idea.

Ultimamente trovo persone che non hanno una storia di successo imprenditoriale e che non hanno un track record e non hanno neanche investito capitali propri o di loro conoscenti ma che pretendono di dettare tutte le condizioni per l’investitore. Per non parlare dei network per startupper che non educano finanziariamente”.

Concludiamo con una panoramica del tuo passato e presente professionale. Non si diventa angel investor dall’oggi al domani, né si trovano capitali importanti sotto al tappeto. Come si è articolato il tuo percorso lavorativo e quando hai scelto di abbracciare anche la professione dell’angel investor?

“Ho iniziato a lavorare nei fondi di private equity e li ho iniziato a fare il manager nelle società che il fondo comprava. Quando ho comprato un azienda (per caso) mi sono appassionato. Dopo un po’ l’ho rivenduta con una notevole plusvalenza. Lì ho capito che avrei voluto fare questo lavoro”.