Alessandro Allocca, Ecco Una Lezione di Moderno Giornalismo Digitale
Social network, video a 360 gradi, realtà virtuale. Come raccontare la realtà moderna in tutte le sue sfaccettature senza paura di innovare
Abbiamo conosciuto Alessandro Allocca a giugno di quest’anno durante l’apertura del Coworking Latina. Alessandro era uno degli ospiti d’onore – anzi, il VERO ospite d’onore – in qualità di giornalista e corrispondente da Londra per Repubblica.it. In quell’occasione Alessandro spiccò per umiltà, competenza e spirito critico, qualità rarissime da trovare insieme – specie in un ambiente professionale come quello giornalistico in cui l’ego troppo spesso vince sulla realtà delle cose.
Alessandro non è solo un talento esportato all’estero, per l’esattezza a Londra. È soprattutto un professionista che si sporca le mani, come piace a noi. Si sporca le mani con i social network, con i video a 360 gradi, con la realtà virtuale e con tutti quegli strati di comunicazione umana che possono aggiungere qualcosa di speciale al suo lavoro di testimone della realtà.
Dalle mostre artistiche a trecentosessanta gradi della National Gallery alle dirette su Facebook Live di Trafalgar Square, Alessandro Allocca sta accompagnando Repubblica.it in un viaggio digitale che non appresta a fermarsi. Le cose non accadono per caso, e se Alessandro riceve uno stimolo positivo dal contesto londinese non saremo noi a chiedergli di tornare in Italia. Perché l’importante è saperlo felice, ovunque si trovi.
Ci concederemo il piacere di fruire dei suoi contenuti moderni pensati per raccontare la realtà al passo coi tempi. Ci concederemo il grande piacere di stringergli la mano in occasione di qualunque evento italiano che lo vede protagonista. Soprattutto, per questa volta, ci concederemo l’enorme piacere di intervistarlo su questo sito, per condividere con la nostra community la storia di un professionista dalla cui linearità di pensiero c’è molto da imparare.
Per voi, l’intervista di Alessandro Allocca.
Ogni carriera professionale parte dalla formazione, sia essa pubblica, privata o da autodidatta. Nel campo del giornalismo la partita si fa ancora più articolata, dato che l’arte della buona scrittura e la capacità di raccontare storie non possono essere trasmesse per osmosi e la tua professione sta evolvendo alla stessa velocità del digitale. Reputi la formazione moderna all’altezza delle sfide proposte dal mercato del lavoro?
“Lo scenario che si sta presentando a noi giornalisti vede una evoluzione del modo di raccontare le notizie, passando da sistemi tradizionali a quelli digitali che noi tutti conosciamo. La formazione, per quanto cerca di essere al passo con i tempi, non riesce a stare dietro al mercato. Non per una colpa oggettiva, quanto perché proprio lo stesso mercato non è consapevole di come si evolverà e, quindi, di quali figure e conoscenze necessita.
In questo preciso periodo storico il modo di raccontare una notizia in formato ‘visual’ sta prendendo il sopravvento, e quindi diventa scontato che la formazione in campo video e grafico per un giornalista è ad oggi basilare. Ma è solo un momento storico, o sarà davvero questa l’evoluzione a lungo del termine del giornalismo su scala globale? Ecco la prima sfida che la oggi formazione nel mio campo deve affrontare: avere la capacità di anticipare i tempi e non solo di divulgare conoscenze basandosi su passato e presente”.
Oxford House College London, London Google Campus, London College of Communication e London School of Journalism. Il tuo profilo LinkedIn parla chiaro. Londra ha rappresentato per te una fonte centrale di stimoli formativi. Quando hai disegnato nella tua mente un percorso accademico che avesse la City britannica al centro?
“Londra è in realtà una conseguenza della sempre crescente voglia di conoscere come si evolve il mio campo di lavoro. Dopo aver ottenuto il tesserino da pubblicista che mi ha permesso l’iscrizione all’Ordine dei giornalisti, e a seguire quello da professionista come conseguenza degli studi intrapresi e relativo esame di Stato, notavo che la formazione nel nostro ambito in Italia era ferma, rispetto a quanto stava accadendo in contemporanea in altre parti del mondo.
Per fare un esempio, da noi in Italia si parlava di crisi della carta stampata, quando negli Stati Uniti si affrontavano argomenti come il citizen journalism o il digital journalism. Ero consapevole che stavo sempre raccontando notizie al pari dei miei colleghi americani, ma mentre io lo stavo facevo in un modo che pian piano andava a morire, loro lo stavano facendo proiettati al futuro, anticipando quei modi, linguaggi e sistemi che oggi sono all’ordine del giorno. L’unico modo per recuperare il gap era ‘giocare’ sul loro medesimo terreno. Ecco perché la scelta di Londra, dove il modo di fare giornalismo è più sperimentale che tradizionale”.
3) Terminata la fase di formazione hai iniziato a ‘sporcarti le mani’. Londra è rimasta l’epicentro della tua vita, ma stavolta con un frame professionale. Quali sono state le sfide principali che hai affrontato come giornalista italiano all’estero?
“La prima sfida è stata sicuramente recuperare quel gap di cui accennavo prima. Mentre in Italia il mio confronto era con giornalisti che lavoravano per quotidiani, radio e televisione, qui ho avuto il piacere di confrontarmi con giornalisti che producevano, ad esempio, storie solo ed esclusivamente per il mondo delle piattaforme social, oppure video in nuovi formati dedicati alla visualizzazione su cellulari, testi in formato multimediale ragionati per essere collegati a fonti esterne o data base. Insomma, ho scoperto che non dovevo solo potenziare il mio inglese per essere capito e capire, ma anche e soprattutto affrontare un nuovo linguaggio giornalistico mai parlato da me fino a quel momento. La successiva sfida, una volta apprese le basi di questo nuovo ‘linguaggio’, è stata quella di trasportare tutto nel mio ambito di lavoro, raccontando storie da Londra verso il pubblico Italiano attraverso questi nuovi modi di fare giornalismo”.
Chi ti conosce bene – ma anche chi entra in contatto con te per la prima volta – apprezza di te tante qualità. Professionalità e competenza, certo, ma anche tanta umiltà. Ti sfidiamo allora a toglierti anche solo per un attimo questo mantello di umiltà e stuzzichiamo il tuo ego. Dai reportage a 360 gradi per Repubblica in poi, quali sono le 3 case study di cui vai maggiormente fiero?
“I tre case studies che propongo sono in perfetto ambito cronologico e vanno anche a rappresentare una mia crescita professionale avvenuta a Londra, ma anche una maggiore conoscenza del mezzo dato che il mio principale ambito è il video-giornalismo.
Il primo è il reportage dal titolo ‘Brexit, lo shock dei londinesi: “Siamo davvero così stupidi?‘. Si tratta del primo video in assoluto mandato in onda in ambito giornalistico in Italia a poche ore dal risultato del celebre referendum sulla Brexit. La particolarità sta nel fatto che operando come un one-man-band, come ormai il mercato giornalistico richiede, ho dovuto calarmi nei panni del giornalista per capire che taglio dare alla news, dell’operatore video per cercare di inquadrare le maggiori emozioni possibili che raccontassero quel preciso momento storico ma anche cercando le persone che facessero al caso e che fossero anche disponibili, e del montatore per scegliere come raccontare il tutto in immagini. Tutto questo in tempi strettissimi dalla realizzazione alla messa in onda, parliamo di poco meno di un’ora. Il risultato del lavoro è sotto agli occhi di tutti: 181mila visualizzazioni del video nativo su repubblica.it che ha generato 262 commenti e 9.600 condivisioni su Facebook. Segno che quel video ha saputo spiegare agli italiani cosa stava accadendo nel Regno Unito, nel momento stesso in cui stava accadendo.
Il secondo è intitolato ‘Londra, la realtà virtuale come cura palliativa: Deborah è libera nel deserto‘ e riguarda un video reportage su un esperimento condotto da una psicoterapeuta italiana e un videomaker inglese sulla realtà virtuale utilizzata come cura palliativa su persone colpite da gravi malattie che quasi sempre portano alla morte. Ho provato personalmente il sistema affinché potessi meglio capire che aspetto trattare. Mi sono calato nei panni di chi, colpito dalla malattia, cercava qualsiasi ‘trucco’ per sfuggire al dolore, anche quello di camminare nel deserto, nuotare con i delfini, sorvolare un lago; qualsiasi cosa purché per qualche decina di minuti si potesse uscire da un corpo malato. E’ stato uno dei primi reportage in ambito italiano a trattare la realtà virtuale in chiave medica e di supporto al benessere fisico e mentale, perché quasi sempre la VR è abbinata al mondo dell’intrattenimento e giochi.
Il terzo è di poco tempo fa e riguarda il concerto-evento degli U2 che hanno tenuto un live ad ingresso gratuito a Trafalgar Square a Londra per la vittoria del Global Icon Award di Mtv. Il reportage si intitola U2, concerto in versione intima a Trafalgar Square. Con dedica alle vittime di Manchester. La notizia di per sé non è tra le più esaltanti del mondo, si tratta pur sempre di un concerto, ma la particolarità sta proprio nel fatto che ho cercato di raccontare la notizia attraverso tutti i canali possibili, senza che tra loro si accavallassero per evitare l’effetto ‘ridondanza’. Per scendere nei dettagli, il reportage si compone di un articolo, quattordici foto, una clip di 4 minuti e un Facebook Live di 14 minuti. Al lettore ho cercato di offrire su ogni canale un aspetto particolare del concerto, senza che lo stesso venisse poi ritrovato anche sugli altri.
Ultimo case study (lo so che me ne avevate chiesti tre, ma per un giro di birra offerto da me penso che possiate chiudere un occhio) riguarda più che altro un esperimento: raccontare una mostra a 360 gradi, quindi offrire la sensazione di essere in quel momento con me, mentre giro per le sale ed ammiro i quadri. Il test l’ho fatto per Michelangelo e Sebastiano, presentazione della mostra a Londra in cui ho avuto il piacere di avere l’esposizione alla National Gallery totalmente a disposizione insieme all’assistente curatrice Rosalind McKever che mi introduceva le opere d’arte. Il video pubblicato sul profilo Facebook di Repubblica.it ha registrato 440mila visualizzazioni, ha raggiunto circa 1 milione di persone generando 1.800 likes, 538 condivisioni e 50 commenti, segno che l’esperimento è stato gradito”.