Aurora Caporossi, ecco che aspetto ha una futura responsabile di marketing

Esperienza accademica in Comunicazione e Marketing, esperienza sportiva per 17 anni nella danza ed esperienza professionale per un business famiglia.

Quando ho conosciuto Aurora tramite la Video-Candidatura ho apprezzato da subito diversi elementi della sua personalità. Il tono composto, la voglia di fare, la determinazione negli obiettivi. Sono tratti ricorrenti che ho già individuato in altre ragazze, prima di Aurora, tutte accomunate da uno stesso elemento: aver praticato danza per più di 10 anni. Diciasette, nel caso di Aurora.

Se dovessi tentare un parallelismo, azzardato ma realistico, direi che la danza sta all’universo sportivo delle donne come il pugilato sta a quello degli uomini. Stare sulle punte, imparare complesse coreografie, combattere nella sfrenata competizione tipica di quest’attività. Sono tutti elementi che temprano lo spirito, prima ancora che definire il corpo, e ripropongono pattern similari a quelli degli sport da combattimento.

Basta leggere le parole di Aurora per ottenere una prova tangibile di questa mia sensazione. Nella prima domanda, quella in cui si snocciola il tema accademico, Aurora riesce a recuperare pro e contro del mondo universitario palesando un grande spirito critico. Ci sono addirittura delle indicazioni, chiare, su come Aurora si immagina l’Università ideale – più digitalizzata, dinamica e disponibile.

Lo sport le ha dato la forma mentis, l’esperienza di lavoro nel business di famiglia ha consolidato la sua etica del lavoro – anche e soprattutto grazie agli insegnamenti del padre.

Sono felice di averla in aula da aprile perché ho l’ambizione di aggiungere uno strato di concretezza alla sua ambizione professionale. Se Aurora vincerà nella vita, come sono certo, non sarà per merito della Digital Combat Academy. Ma possiamo essere il trampolino di lancio verso un percorso professionale meglio definitivo. Ce la faremo.

Di seguito l’intervista.

Il mondo del lavoro avanza, la formazione accademica tradizionale sembra non stare al passo. Rispetto alle Facoltà di Comunicazione & Marketing in Italia, quali aspetti ti senti di condannare e quali di difendere?

“Verso la fine di marzo, dal 21 al 23, mi sono recata alla Megawatt Court di Milano per prendere parte al Milano Marketing Festival in cui è stato possibile partecipare a conferenze, workshop e seminari presentati da manager director provenienti da diverse imprese italiane e estere.

Osservando l’opinione e il lavoro altrui ho cercato di intravedere, di applicare le mie conoscenze pregresse (acquisite dai testi universitari e non) e ho potuto, con mio grande stupore, constatare che molti degli argomenti trattati, dei termini impiegati, erano stati da me studiati precedentemente con efficacia e propedeuticità.

Ammetto, tuttavia, che la scelta universitaria inizialmente è stata alquanto difficile e incerta, a causa di test di ammissione non superati, e di opinioni contrastanti, molte delle quali non positive, riguardo una facoltà che comprendesse il campo della comunicazione.

Ciononostante, ho iniziato a cercare sempre maggiori informazioni sulla facoltà di ‘Comunicazione e Marketing’ presso l’Università La Sapienza di Roma e rimasi sempre più entusiasta delle materie, dei docenti e degli sbocchi professionali offerti.

Pur constatando che il Dipartimento in cui è inserita la mia facoltà svolga il suo lavoro con cura e cerchi di coordinare le attività degli studenti, ritengo che sia necessario, se non indispensabile l’introduzione di un maggior numero di tirocini affinché noi studenti possiamo toccare con mano ciò che abbiamo sempre studiato sui libri (alle volte anche un po’ frettolosamente con la mente piena di nozioni), affinché risulti meno ostico ambire a posti di lavoro professionali, ma, soprattutto, perché in tal modo si può far valere il multitasking, di cui tanto gli studiosi di marketing e sociologia, discutono e attribuiscono alla generazione dei giovani digitali.

A mio avviso sarebbe opportuno l’inserimento di piattaforme web con le quali lo studente può comunicare visivamente con il docente, evitando magari le noiose file, ad orari spesso improponibili, del ‘ricevimento’; si aggiunga anche la necessità di caricare, ad inizio corso, le dispense e slide delle lezioni, affinché chi ha la volontà e le capacità di anticipare lo studio lo possa fare senza problemi – causa mancanza di un materiale di approfondimento.

Aggiungerei, oltre al progetto Erasmus che è presente in tutti gli Atenei, una tipologia di trasferimento parallela, magari in Italia cercando così di promuovere il paese, all’interno di aziende inerenti al settore di interesse di gruppi di studenti (informazioni reperibili attraverso un questionario semi strutturato).

Il termine ‘condannare’ non credo sia correttamente utilizzabile in questo contesto, utilizzerei maggiormente il verbo ‘aggiungere’; anche le università sono un reticolato di legami, doveri e compiti e non solo le strutture interne , ma anche noi studenti dobbiamo essere in grado di cogliere e distinguere legami forti e legami deboli al fine di sviluppare un corretto capitale sociale scegliendo, per dirla seguendo il pensiero di Putnam, relazioni di bonding o bridging.

In merito a quest’ultima idea ritengo che la Sapienza, per il modo in cui si trova ad essere organizzata, e poiché è un’Università pubblica, rappresenti bene il concetto wellmaniano di networked individualism, in altre parole: ogni ragazzo appartiene al suo gruppo universitario con il quale scambia relazioni di ogni tipo nella sua quotidianità eppure è sempre necessario mantenere quel distacco, quei tratti personali che rendono il proprio ‘sé’ peculiare rispetto al ‘noi’ più omologato.

Sostengo questo, forse per il mio carattere alquanto indipendente, in merito ad un’esperienza avuta il mese precedente dove il professore di Marketing Driven Management, fortemente restio ad accettare tesi triennali, sentendo il mio progetto, e le mie ambizioni mi ha ufficialmente accettato come tesista, e si è concentrato sull’unicità e determinazione del mio percorso universitario.

Questo, in conclusione, per sottolineare come la Facoltà ha i suoi ‘bad marks’ e i suoi ‘good aspects’, ma ciò che fa realmente la differenze è l’obiettivo che ognuno si pone nel corso degli studi. Per fare l’università (e sottolineo il termine ‘fare’ perché l’Università non si frequenta ma è un reticolato che nasce dalla combinazione di studio, lavoro, passione, ambizione) sono indispensabili due ingredienti: costanza e dedizione. Le nozioni le abbiamo, ora servono competenze applicate”.

La danza è un’attività poetica ma articolata, sicuramente ricca di ostacoli e competizione, e solo chi la vive da dentro conosce a pieno le complessità. Cosa pensi di aver importato nella tua vita accademica (e un giorno professionale) dai tuoi 17 anni di danza?

“La danza in sé non è qualcosa di definibile a parole, per capire ciò di cui si parla è opportuno viverla, insomma serve indossare due scarpette da danza di qualsiasi tipologia. La danza è disciplina, lavoro, insegnamento, comunicazione. Con essa risparmiamo parole che magari altri non capirebbero e stabiliamo un linguaggio universale, familiare a tutti.

Ci dà piacere, ci rende liberi e ci conforta dall’impossibilità che noi umani abbiamo di volare come gli uccelli, ci fa avvicinare al cielo, al sacro, all’infinito. È un’arte sublime, sempre diversa, simile al fare l’amore, che alla fine di ogni performance lascia il nostro cuore battere forte, sperando nella prossima volta, così è stata interpretata egregiamente da Julio Bocca.

Tornando alla mia esperienza, la danza è duro lavoro, sacrificio quotidiano, ambizione, dedizione, continuo cambiamento, apertura all’imprevisto e dedizione assoluta. I miei 17 anni con la danza mi hanno formata caratterialmente, insegnando a rialzarmi sempre nonostante il dolore ai piedi o le gambe tremanti, ho imparato ad essere autocritica e a cercare di migliorare continuamente ogni passo, ogni movimento, ho capito il valore di sacrificare ore di svago per allenarmi duramente ma che hanno permesso di raggiungere importanti e soddisfacenti traguardi.

Ha trasformato una piccola bambina timida e un po’ paffutella, in una ragazza con carattere, pronta a raggiungere i suoi traguardi; la danza immette una dose di sana competitività inspiegabile che si impara a tirar fuori nel momento opportuno, ti insegna a non preoccuparti troppo dell’opinione altrui perché se puoi avere le competenza per ballare davanti ad una platea di spettatori, avrai anche le capacità di filmarti e inviare un’autocandidatura.

Ho appreso il rigore, la severità e il portare rispetto a chi si trova ‘sopra di te’. Con la danza la fortuna non esiste, c’è l’impegno e il perseguimento degli obbiettivi solo lavorando a testa bassa su te stessa , migliorando le tue imperfezioni per raggiungere, prima, quel posto centrale in prima fila, oggi magari per ambire alla professione di direttrice marketing di un’impresa”.

Lavorare in famiglia è sempre delicato. C’è il vantaggio di non avere un vero capo, dato che il business viene gestito in casa, ma al contempo si rischia di subire la dipendenza economica e professionale dalla famiglia, come se il cordone ombelicale non si staccasse mai. Com’è stata la tua esperienza familiare da dirigente delle vendite e quando hai deciso di voler intraprendere la tua strada?

“Lavorare in famiglia è complicato. Soprattutto in un ambiente in cui l’impresa di famiglia è stata creata dal nulla e senza un percorso universitario di riferimento, ma attraverso lavoro duro e buone possibilità economiche.

Riguardo la mia esperienza di dirigente delle vendite posso affermare di aver appreso, oltre a molte più competenze lavorative e all’acquisizione di molta pazienza verso i clienti, la capacità di separare la realtà affettiva- emotiva da quella lavorativa – imprenditoriale.

Mio papà solitamente mi diceva ‘sii un robot a lavoro, sii ambiziosa e riuscirai, forse, ad avere meno dispiaceri’, da piccola avvertivo queste parole come un qualcosa a me estraneo, ma chi con un insegnamento del genere si lascerebbe trascinare a lavoro dalle emozioni? Non so in quanti ne sarebbero in grado.

Nonostante i miei 20 anni ho acquisito professionalità, rigore, costanza e il saper rispettare le tempistiche di una lavoro. Da mio papà, o sarebbe meglio usare il termine capo, direttore ho capito l’importanza di curare ogni particolare di ogni vendita, insomma di ogni lavoro e quanto sia fastidiosamente insopportabile che il tuo progetto sia rifiutato perché ‘non gradito dal cliente’ eppure ho passato anche giornate intere a rivedere progetti e contratti per rispettare tutte le richieste prefissate.

Questa esperienza mi ha aiutata a capire il valore della fatica e che alla lunga il duro lavoro, se svolto bene, è davvero compensato. Ma, narrandola un po’ come un racconto, due caratteri forti, con mente imprenditoriale, di cui uno è tua figlia a cui hai insegnato come essere forte e indipendente e creativa e determinata , alla lunga possono creare qualcosa di un po pericoloso.

Insomma ho capito quanto il marketing, le start up mi affascinassero, ho capito la mia elevata capacità relazionale con il cliente, l’interattività per attirare l’attenzione e l’importanza della quinta P del marketing: la partecipazione (che si aggiunge a prodotto, prezzo , promozione, punto vendita.).

Ho imparato ad osservare i movimenti dei competitors così da anticiparne le mosse, ho osservato i miei dirigenti: il behaviour intorno a me ho cercato di analizzarlo il più possibile.

Ho deciso di prendere la mia strada avendo anche dei no e delle opinioni avverse, ho sempre creduto nelle parole ‘dimmi che fai e ti dirò chi sei’ e non vorrò essere definita come ‘la figlia femmina che lavora nell’azienda del papà, perché il papà le ha spianato la strada’, non sono questo tipo di ragazza: mente come un connubio di male – female, corpo da female.

In conclusione, questa mia esperienza la considererei una ‘spintarella’,ovvero riprendendo le parole del premio nobel Richard Thaler, una forma di nudge che indirizza e sviluppa ‘the misbehaving’.

Le discipline del marketing digitale sono tante, e sono idealmente divise tra operative e strategiche. Quali materie stuzzicano maggiormente il tuo appetito formativo e quali pensi possano rappresentare la tua carriera specifica nel futuro?

“Il Networked power presente nel sistema reticolare dei media digitali impone a noi studenti del marketing la necessità di formare figure sempre nuove da inserire nella cloud delle professioni.

Ammiro l’operatività, ma soprattutto la strategia, sono una persona eclettica e cerco di applicarmi in tutto, ammetto però che la competitività aumenta la mia creatività, fa aumentare la passione verso il lavoro e mi spinge al massimo quindi opterei maggiormente per quelle attività strategiche e competitive che permettono di applicare tutto il mio background culturale e sperimentale.

Le professioni che maggiormente mi interessano sono quella di social media marketing manager per quanto riguardo la creazione di campagne pubblicitarie, e di social media marketing, ma devo dire che anche quelle politiche mi affascinano molto; l’attività di social media coordinator per quanto concerne il monitoraggio delle iniziative del brand sui social media e supportare l’ottimizzazione dell’esperienza dei fan sulle diverse piattaforme social.

Ho la creatività adeguata per occuparmi di un brand e per creare il packaging di un prodotto che sono il biglietto da visita di ogni oggetto di acquisto in particolare ora che è in costante aumento lo shopping online e che siamo in una realtà dove la qualità del prodotto è sempre indispensabile, ma se il prodotto appare ‘visibilmente bello sulla pagina web’ e con una buona populary filter, lo shopping online sarà di sicuro più audace.

Inoltre, quando mi trovavo al Milano Marketing Festival, ho appreso l’esistenza di una nuova disciplina che combina economia e giurisdizione ovvero una figura che si occupi di garantire le corrette attività di marketing proprie di un’azienda occupandosi delle norme della privacy, dato che a causa della pervasività di Internet è possibile reperire qualsiasi tipo di informazione online e quindi chiedersi: è possibile opporsi in maniera selettive al marketing per certi periodi di tempo?”.