Nicola Zamperini, Autore del Libro ‘Manuale di Disobbedienza Digitale’

Giornalista e consulente di comunicazione digitale per le aziende, Nicola ci guida in un viaggio nella storia che parte dalla California degli anni ’70 e arriva fino ai giorni nostri.

Questa è un’intervista molto particolare. Nicola Zamperini non ha solo scritto Manuale di Disobbedienza Digitale. È anche stato il mio primo capo presso l’agenzia di comunicazione capitolina che ha fatto sbocciare anche il talento di Stefano Silvestre.

Nicola ha sempre dimostrato di essere una mente. Fine conoscitore della psicologia umana, mi ha impartito alcune vivide lezioni sui rapporti di lavoro, in ufficio, e sulla vita in generale, al ristorante.

Ho sempre avuto piacere ad ascoltarlo, nonostante all’epoca pensassi che chiunque sopra i 25 anni non fosse interessante, o comunque avesse poco da insegnarmi sul lavoro. Ebbene, mi sbagliavo, perché da Nicola ho imparato molto sulla psicologia dei clienti (offline) e degli utenti (online).

In quanto autore di questo nuovo libro, promosso sulla stampa e anche su La7, Nicola Zamperini restituisce una fotografia critica di Internet, dei nostri comportamenti online e degli imperi digitali che lo governano.

Non è un libro distopico, né un inno al luddismo digitale – inteso come rifiuto della modernità. È piuttosto uno stimolo a riflettere, a porsi dubbi, a sabotare il web senza rinnegarlo.

La morale è che ho appena ordinato il suo libro su Amazon – nonostante nel 2017 abbia letto solo un libro. Ecco, ‘Manuale di Disobbedienza Digitale’ sarà il mio libro del 2018. Una bella responsabilità, considerando che sarà l’unico.

Partiamo dalla fine, che in quest’avventura libresca potrebbe paradossalmente corrispondere alle prime recensioni lasciate su Amazon dai lettori. Emanuele, ad esempio, consiglia il libro a tutti coloro che vogliono ‘essere meglio informati sulla reale proporzione dei fenomeni social dei nostri giorni’. Su Amazon, così come in salotto, Nicola come recensirebbe il suo libro?

“Difficile, se non impossibile, recensire il proprio libro. Posso dire che ho provato a scrivere un testo in cui le persone potessero trovare tre elementi: come prima cosa la genesi culturale di quelle che io chiamo techno-corporation (Google, Facebook, Amazon,…); poi ho cercato di raccontare come la vita digitale sta modificando alcune qualità essenziali del nostro essere umani, dalla memoria a come ci diciamo addio o guardiamo alla nascita e alla morte, dallo sguardo al modo di chiamarci amici; infine una proposta più ideale che pratica di disubbidire a queste aziende. La disobbedienza che è per lo più consapevolezza digitale. È un volume per tutti: per chi si occupa di digitale in termini professionali ma anche per chi vuole capire alcuni elementi della rivoluzione digitale”.

Molti conoscono la Silicon Valley di adesso – in quanto terra promessa degli startupper di tutto il mondo – ma pochi conoscono le radici culturali da cui questo mondo si è generato. Giochiamo col passato e torniamo negli anni ’70. In quel decennio cosa ha gettato le basi dei futuri imperi digitali che tutti oggi conosciamo?

“Burning Man, un festival di arti e tecnologia che si svolge ogni anno nel deserto del Nevada. Un festival che è figlio della controcultura californiana e che è il vero brodo primordiale dal quale sorge la cultura delle techno-corporation. Ogni anno, per anni, Brin, Page, Bezos e Zuckerberg sono andati a Black Rock nel Nevada a trascorrere qualche giorno durante il festival e da quell’evento hanno tratto idee, costrutti culturali, modi di pensare e vedere il mondo che hanno influenzato le loro aziende. Purtroppo rimane ben poco di una concezione libera e aperta della Internet primordiale, oggi esistono riserve di libertà, ma lo spazio è tutto occupato dai dittatori della rete”.

Dal primo graffito inciso nella caverna ai segnali di fumo, dalla stampa alla TV passando per la radio, l’uomo ha sempre avuto il desiderio innato di comunicare ed esprimere se stesso. Così il mondo avanza, la società evolve e l’uomo continua ad adattarsi. L’ennalogo della disobbedienza digitale è un modo creativo per adattarsi alla modernità o c’è di più?

“È un modo per riflettere. Io lavoro e vivo con la comunicazione digitale. Non sono un luddista e non voglio distruggere i telai digitali come faceva all’inizio della rivoluzione industriale chi si opponeva al progresso. E dunque l’ennalogo è solo un modo per guardare ai propri comportamenti e scorgere l’idiozia di molti di questi comportamenti e la stupidità di altri. Per il resto non possiamo fare a meno della tecnologia, forse potremmo fare a meno o utilizzare meno alcuni servizi di alcune aziende”.

La relazione con la morte è forse una delle più soggette al cambiamento nell’era digitale. La qualità percepita della vita sale, perché interazione dopo interazione possiamo avere tutto-e-subito, e l’idea di morire diventa inconcepibile, quasi disdicevole. Facebook e soci come stanno contribuendo a questa non troppo velata ricerca dell’immortalità?

“Facebook regola la morte come farebbe uno Stato: dispone le norme che si applicano a chi muore nello spazio che esso governa. È una soluzione necessaria perché ogni giorno dentro questa immensa meta-nazione digitale muoiono milioni di persone e occorreva trovare soluzioni che non inquinassero, o almeno inquinassero meno possibile, l’efficienza dell’algoritmo. Quindi più che immortalità è un modo di costituire necrologi digitali non deperibili”.

Concludiamo con una riflessione politica, in quanto freschi di elezioni. Sappiamo che Zuckerberg controlla il modo in cui 2 miliardi di persone accedono ogni giorno alle loro informazioni. È così irragionevole sentenziare che la tecnologia sia la nuova politica?

“Direi di sì è irragionevole, perché la politica rimane politica e la tecnologia rimane tecnologia. Il problema semmai è la rilevanza politica globale che le piattaforme ormai rivestono. Per fortuna ci sono più voci che in maniera differente sottolineano i rischi di questo assetto. Facebook, Google e Amazon, tra le altre, hanno una enorme rilevanza tecnologica, finanziaria, commerciale, diplomatica, e dunque politica. Sono nuovi poteri cui gli Stati e le organizzazioni internazionali devono ancora prendere le misure”.