Blockchain & HR, intervista di Federica Cortesi a Riccardo Spinelli

– Intervista di Federica Cortesi –

Blockchain. Una parola nella bocca di molti il cui significato è ben compreso solo a pochi.

Fa rima con un’altra parola molto nota e al tempo stesso temuta: criptovaluta, più comunemente conosciuta sotto il nome di Bitcoin. Materia di forte attualità, cui non sfuggono possibilità di ampi margini di guadagno, degna di approfondimenti.

Ma che cos è la Blockchain? E quali possono essere le sue declinazioni?

Riccardo Spinelli, è tra i maggiori esperti sul tema e con lui abbiamo cercato di comprendere la portata del fenomeno e le sue implicazioni nel mondo HR.

Apriamo le porte ad una riflessione più approfondita sul tema. Consapevoli di quelle che sono le diverse scuole di pensiero, delle tante applicazioni ma anche della tanta confusione intorno all’argomento. Sulla base di quello che per Lei rappresenta, come racconteresti la Blockchain a un pubblico di non addetti ai lavori?

“Se dovessi raccontare la Blockchain, non partirei da un focus prettamente tecnico poiché la Blockchain non è una tecnologia che parte dal nulla, ma una realtà che deriva dai DLT (Distributed Ledger Technology o Registri distribuiti) che esistono già da molto tempo.

Quello che la Blockchain aggiunge, a mio avviso interessanti da spiegare, sono due cose: le transazioni e gli asset. Possono essere asset fisici o digitali con cui poter scambiare una moneta, vendere una macchina o una casa; da qui nasce la Blockchain. E nello spiegarlo parto sempre dal discorso che la Blockchain nasce dopo la grande crisi del 2008, in cui la volontà era quella di cercare una tecnologia che permettesse di disintermediare, di scambiare qualcosa tra due soggetti che non necessariamente avevano un rapporto di fiducia tra di loro.

Che poi è proprio questo il tema della Blockchain; oggi noi tendiamo a fare scambi in cui nel mezzo c’è un garante, come potrebbe esserlo una banca o un notaio. La Blockchain toglie primariamente l’intermediario, rende le transazioni dirette e le regola con qualcosa di molto più semplice, lo Smartcontract; una sottofunzione che ti comunica che se qualcosa possiede determinate caratteristiche da te richieste è possibile fare la transazione.

Nel fare questo ci sono delle applicazioni che rendono molto bene l’idea, che ci permettono per esempio di valorizzare i nostri dati, di trasformare della azioni abitudinarie in valore, poiché valorizza i dati scambiando quel che per te è un’azione in valore. Questo è un tema.

Dall’altro facilita le transazioni. Quindi per ritornare alla domanda iniziale, se dovessi spiegare ad una persona totalmente digiuna in materia, gli chiederei inizialmente ‘Cosa fai per vendere una macchina? Trovi un soggetto di cui ti fidi o un intermediario’. Con la Blockchain hai da un lato, qualcuno che vuole vendere qualcosa, per esempio una macchina blu e , dall’altro, qualcuno che vuole comprare qualcosa, casualmente una macchina blu. Al di sotto di questa trattativa c’è lo smartcontract che regola lo scambio: se queste caratteristiche sono soddisfatte, lo scambio avviene con un click. Per intenderci, è come pagare con una Satispay ma senza alcuna intermediazione.

Questo principio è estendibile ad ogni tipo di realtà, dall’acquisizione di una casa o, come accade a Singapore, alla compravendita di titoli. Racconto tutto questo per far immaginare alle persone come è la Blockchain calata attivamente nel nostro mondo”.

Oltre all’idea più comune di scambio, dalle Sue parole si evincono diversi settori di impiego. In questo immaginario più ad ampio spettro,al di là della parola Bitcoin e alle possibilità di guadagno che ne derivano, cosa implica un approccio aziendale in un’ottica di Blockchain e quali requisisti deve soddisfare affinché se ne possano trarre dei benefici sia nel breve sia nel lungo termine?

“Partendo dal primo tema, quello della Criptovaluta, il Bitcoin è una Blockchain. La prima, nata dall’intento di disintermediare, importante premessa se si vuole poi parlare di organizzazioni.

Parlare di Blockchain è un qualcosa che esula dal discorso di una comune tecnologia. Non si parla di un tool come può esserlo Office che poi tutti utilizzano o di un semplice Codemotive come può essere un CRM. La Blockchain nasce perché nasconde una grande ideologia. È stata ideata da ventenni che vedevano l’organizzazione in modo diverso dal modo canonico con cui la vediamo noi. Per cui dobbiamo pensare che introdurre la Blockcahin in un contesto organizzativo significa affrontare concetti come disintermediazione, decentralizzazione e trasparenza. Menziono queste tra le tante per il loro forte valore culturale.

Pensare alla Blockchain all’interno di un’azienda o di un’organizzazione non è semplice perché quello a cui si fa riferimento non è la sua natura a livello di applicazione, quanto più al diverso paradigma mentale di appartenenza.

In diversi documenti, come quelli dell’UE (che si sta impegnando nel cercare di capire come e in che modo utilizzare la Blockchain) si sostiene l’importanza di affrontare per primo, ancor più di quello legale, importantissimo, il tema di natura culturale e organizzativo. Perché la Blockchain è una catena, lo dice la parola stessa “Catena di blocchi”che per funzionare deve essere adottata. Ci vuole quindi diffusione, diversamente si chiama marketing.

Se non la inserisco in un ambiente dove può essere utilizzata perde il suo centro, poiché è questo che esige. Se vediamo la Blockchain del Bitcoin, i valori e le oscillazioni sono determinate dagli scambi e dai volumi che regolano questo mercato. Per essere consistente a livello organizzativo secondo me, innanzitutto deve essere preparata a livello culturale e organizzativo. Quindi bisogna agire fortemente sul Management. Benchè si dica che la Blockchain debba partire dal basso, personalmente non la penso così. Tanto è vero che i paesi dove ha maggiormente attecchito, sono ambienti dove l’ecosistema, composto dalle istituzioni, dalle aziende e da coloro che operano nella Blockchain, si parlano con applicazioni anche istituzionali. Sembra banale ma non lo è, poiché decidere di far utilizzare una determinata tecnologia ad una popolazione riesce a far concludere determinate operazioni evidenziando i vantaggi (in termini di tempo, efficacia e costi) e abituando all’uso: così si crea una prassi diffusa”.

Partendo dal presupposto che se privi di un punto di partenza ben preciso è difficile pensare come questo mindset possa trovare terreno nel clima culturale e aziendale,come è possibile poter infondere un cambio di paradigma cosi importante all’interno di un’organizzazione?

“Facendo riferimento al mio settore di appartenenza, le Risorse Umane, oggi una delle applicazioni che viene maggiormente vista come una delle più prestanti è l’utilizzo della Blockchain al fine di tracciare i percorsi, sia formativi sia di carriera. Come un curriculum che vive in un sistema decentralizzato e successivamente diffuso. Per far si che questo abbia una vera consistenza, è necessario pensare che venga adottato da tutte le università, le società che erogano formazione o le aziende che oggi, per tener traccia della formazione, rilasciano il diploma.

A differenza di tutte queste tematiche che ad oggi devono essere intermediate dall’istituzione scolastica o dall’azienda o da chiunque sia l’intermediario, la Blockchain lo può fare in maniera automatica, togliendo il problema dell’intermediario. In questi termini , ad esempio, se sostengo un esame in antropologia, prendo un voto e quello, direttamente, poiché sotto il cappello dell’istituzione, va a completare un profilo che può essere tracciato e certificato da chi lo richiede.

Questo ci fa capire come sia possibile mantenere traccia di qualsiasi dato. E’ ovvio che, tornando al tema dell’Adoption, se uno aderisce e l’altro no, il risultato è parziale. Questa è secondo me la grande sfida: l’importanza dell’adoption.

È il motivo per il quale a mio modo di vedere oggi, ancor più che trasmettere tecnicamente il funzionamento delle blockchain, bisognerebbe trasmetterne gli usi e i vantaggi applicativi che può avere per un’azienda. Facendo un esempio, pensiamo al problema che una PMI può avere nei pagamenti crossboard: i tempi, i costi, la fiducia nell’interlocutore, l’ente di pagamento o semplicemente qualcuno che mi dica che quel pagamento produrrà gli effetti desiderati. Ed è il tema di cui parlavo prima, quello del trust, della fiducia. Siccome la blockchain è un sistema trustless, che lavora in assenza di fiducia, ipotizzando un pagamento crossboard in un tempo infinitamente inferiore, posso pagare il mio fornitore ed inserire un’istruzione per cui deve essere rispettata la consegna. La pena, l’annullamento o il mancato pagamento poiché non vengono soddisfatte le condizioni stipulate tramite smartcontract.

Ci tengo a fare questo esempio perché, contrariamente a qual che si pensa, la blockchain è per tutti. Preciso come sia per tutti però, a seconda dei suoi campi applicativi e dell’entità della sua applicazione (che può andare da un’applicazione per regolare le donazioni di una charity alla creazione di una blockchain per gestire la logistica di una multinazionale); è importante capire quali vantaggi si vuole sfruttare. Ad esempio, nel settore Hr, se creassimo un wallet per i dipendenti e trasformassimo le azioni più routinarie (come fare un timesheet) in qualcosa che poi viene remunerato con i miei token, alla fine dell’anno questi possono essere compensati con servizi. Ergo, da un lato trasformo immediatamente un qualcosa che nasce come un dovere in un qualcosa che ha un bollo temporale in grado di farmi capire cosa e quando sta succedendo e, dall’altro do l’opportunità di generare valore ad un’azione che di grande valore aggiunto può non averne”.

In questi termini, la Blockchain può essere vista come la risposta alle esigenze di oggi e di domani. Affinché possa dare i suoi frutti a livello funzionale e culturale, un’azienda quali riflessioni dovrebbe fare? Perché un’azienda si dovrebbe interessare alla Blockchain e da dove potrebbe nascere un interesse e quindi una ricerca della soluzione nella Blockchain?

“Come tutte le cose, la Blockchain non è la panacea di ogni male. Quindi, a monte di un’analisi potrei dedurne il bisogno di un Database e non di una blockchain. La Blockchain si caratterizza, rispetto ad altri registri distribuiti, per il tema degli asset e delle transazioni. Qualora reputassi vantaggioso avere qualcosa che, per esempio, mi facilita le transazioni, rende trasparenti le mie azioni quotidiane con pagamento o gestione di merci/asset, vado in quella direzione.

Prediamo ad esempio una società di logistica a livello mondiale. Emerso un lavoro di tipo tradizionale, fatto di file excel, privo di dati raffinati e dati temporali, non è possibile una precisa traccia delle filiere. In questo caso la Blockchain risolverebbe diversi problemi, perché certificherebbe la filiera e darebbe prove temporali delle proprie transazioni in maniera molto agile, connettendosi anche a tecnologie IOT (per esempio la localizzazione GPS tramite sensori) e AI. Diversamente, se inserisco 4/5 intermediari rischio, oltre a non essere tempista, di non avere dati ben precisi o addirittura di non averne affatto, rischiando di non operare bene nel mio business o di perdere delle occasioni”.

Fino ad ora abbiamo fatto riferimento alla Blockchain in termini di transazione logistica e asset di natura più materiale. Ad oggi però c’è una costante elaborazione di dati. Soprattutto nelle Risorse umane, quando si fa selezione, il dato è qualcosa di estremamente importante e che ci consente di screenare quelle che sono delle risorse o possibili candidati all’interno di un iter di selezione.

“Secondo Lei, nel mondo HR e nella Talent Acquisition, come può impattare la Blockchain e quali potrebbero essere dei possibili scenari?

Gli scenari potrebbero essere sicuramente dirompenti, nel senso che poi tutta la tematica di certificazione delle competenze, il fatto di avere con i famosi ‘blocchi’ la storia del mio dipendente o dello studente a disposizione, immediatamente verificabile attraverso i miei Hash pubblici, che posso andare a verificare, sicuramente, darebbero un fortissimo impulso. Bisogna però fare attenzione, pongo un punto che è fondamentale per la parte di dati personali e sensibili. È ovvio che ciò significa entrare in alcuni meccanismi di automazione di registri del dato (gli smartcontract), per cui in azienda so che se frequento un certo corso di formazione, questo automaticamente entra in una ‘identità digitale; per usare un termine un po’ generico. A condizione che tutto vada all’interno di quel nucleo.

Per intenderci, se la mia laurea è li presente e non è la mia laurea ( dichiarando di aver frequentato un MBI al MIT quando realmente si trattava di un altro master) è diverso. Questo ci pone un tema fondamentale dell’utilizzo della Blockchain. Ed è li che bisogna essere molto onesti intellettualmente, soprattutto per la parte HR, la Blockchain non è la verità. Quello che dobbiamo capire è che la veridicità del dato è tale nella misura in cui ( e torniamo al tema dell’adoption, fondamentale per le Risorse Umane) il processo viene automatizzato.

Se so che in tutte le aziende in cui vado faccio un determinato tipo di azione (un corso, una promozione o una qualunque cosa) e so che questa viene registrata, allora so anche che il dato è veritiero. Questo significa che in quello spazio non c’è scritta la verità, ma che posso verificare se le credenziali inserite sono valide o meno. Dovremmo porre l’attenzione sul tema del vero, del certificato e del certificabile. Sono termini diversi.

Oggi si tende a dare alla Blockchain il canone della verità. Non è così. La Blockchain certifica se sto avendo, se è avvenuto o se sto gestendo all’interno di una catena una determinata informazione. Questo è immutabile e certificato perché se inserisco il dato ‘Riccardo Spinelli’ in una Blockchain, ne deriva un certo Hash. Diversamente, se inserisco ‘Riccardo.Spinelli’ l’hash è completamente diverso. Questo significa che posso aggiungere blocchi ma che non li posso modificare.

Soprattutto nella parte HR, con una tecnologia come la blockchain cercherei tutto in maniera più veloce senza intermediari domani. Questo è il vantaggio che può portare. Così, in qualità di Head Hunter posso andare a cercare uno o più elementi o percorsi certificati”.

Facendo riferimento proprio al suo di percorso, partendo dal background che vede una Laurea in Psicologia delle organizzazioni e del Marketing, per poi passare all’HR con un MBA in Business Administration, come è arrivato alla Blockchain?

“È stata un po’ una concatenazione, nel senso che come molti ho iniziato con i Bitcoin, guardando questo mondo strano e affascinante con un ‘Perché no?’. E da li immediatamente ho avuto l’occasione di lavorare su diversi progetti della Blockchain, perché mi interessava proprio come fenomeno organizzativo. Per un appassionato di organizzazione come lo sono io creava un contesto totalmente diverso, perché i professionisti della Blockchain non li trovi su LinkedIn, sono nati per passione e non perché sono andati in una qualche università; si lavorava su progetti e non per aziende. È un ecosistema molto particolare che mi interessava molto. In quel frangente incontro un esperto di Blockchain e da li sono nate delle riflessioni.

Tecnicamente quando da HR ti ritrovi di fronte ad una realtà del genere, se hai interesse a capire il nuovo (e nell’HR lo devi avere se no rimani indietro), nasce la voglia di approfondire ulteriormente. E così è accaduto nel mio caso. Inoltre, considerando come questo sia un mondo che approfondisci per esperienza e non solo per studio, ho avuto l’opportunità di entrare in contatto con diversi contesti che mi hanno permesso di diventare una figura peculiare proprio perché di Blockchain HR se ne parla pochissimo”.

Visto il diverso impiego nei diversi settori, che consigli sente di poter dare a chi sta cercando la propria strada e magari vuole indirizzarsi versi questa rivoluzione che si sta portando avanti nella Blockchain?

“Una delle cose che mi piace dire maggiormente è questo. Il messaggio bellissimo della Blockchain è che siamo abituati a pensare alla riqualificazione professionale come un qualcosa di negativo; la Blockchain ci consente di fare Job Empowerment, una forma di riqualificazione della persona. Vuol dire che io posso mantenere le mie competenze e allargare la mia conoscenza a questo nuovo paradigma.

Quello che secondo me è interessante è capire in che settore si opera all’interno di un’organizzazione e trovare il modo migliore per declinarlo alla Blockchain. E qui entro nella seconda parte del consiglio, perché non è cosi facile. Oggi stanno nascendo dei percorsi formativi e bisogna scegliere con attenzione quali fare perché l’hype è ricco di insidie anche dal punto di vista formativo. Ma quel che suggerirei maggiormente è di frequentare l’ecosistema della Blockchain. Vuol dire non solo partecipare ad eventi ma anche, attraverso la propria posizione, stimolare l’ambiente, magari la propria organizzazione, stimolare le istituzione e creare occasioni di incontro perché è li che nasce la professionalità.

– Intervista di Federica Cortesi –