Rachele Zinzocchi, Autrice del Primo Libro in Italia su Telegram

La grammatica da rispettare, gli account da seguire, le strategie di comunicazione e business da attuare. Ecco la regina italiana di Telegram

La nostra scuola ospita le storie di professionisti del Marketing Digitale operanti a tutti i livelli di seniority e specializzati nelle discipline più varie. L’idea di base è che chiunque lavori in questo settore e abbia una storia da raccontare sia meritevole della giusta visibilità. Perché il valore si cela nelle piccole cose, e quando si viene ingaggiati attraverso lo strumento dell’intervista emergono punti di vista stimolanti – a tutto vantaggio di chi legge.

Poi ci sono le storie speciali, come quella di Rachele Zinzocchi, che si è affermata nel settore del Marketing Digitale come la regina di Telegram. Maestra dell’instant messagging per motivi personali e professionali, ha scritto il primo libro in Italia sul tema dimostrandosi una professionista a 360 gradi, di quelle che sperimentano, imparano e condividono con la community.

Rachele ha una conoscenza di Telegram che supera ogni immaginazione. La grammatica da rispettare, gli account da seguire, le strategie da attuare. Nonostante un percorso più ampio da Consulente e Docente nel Marketing Digitale, Rachele ha focalizzato la sua attenzione su uno strumento in di comunicazione in particolare, conquistandosi la fiducia e il rispetto di chiunque entri in contatto col suo sguardo curioso e vivace.

Ladies and gentleman, Rachele Zinzocchi.

Telegram è uno strumento di comunicazione prezioso le cui opportunità non sono del tutto conosciute ai più. Come ti sei appassionata in modo verticale all’App concorrente di WhatsApp e quali reputi essere i suoi 3 punti di forza principale?

“Si tratta di un percorso che, in effetti, parte da lontano. Cronologicamente, dal 2015-2016. Sostanzialmente, da quel Lifelong Learning, Vocational Education and Training, che da decenni fa parte del mio DNA – tanto da campeggiare persino nel mio curriculum, come da consiglio di noti recruiter – e che ogni giorno mi spinge a studiare ogni novità con anticipo rispetto a tutti, accedendo a fonti accuratamente selezionate e sempre originarie, dunque quasi sempre in lingua inglese, di cui mi faccio giungere le informazioni attraverso un’attenta scelta della forma più adeguata per ciascuna – newsletter, notifiche social, e-book, libri e così via.

Sia chiaro, mi proteggo con attenzione dall’information overload, ma l’ordine che pure negli anni ho apportato non esclude ahimè la necessità di dedicarsi al relativo studio per tre ore al giorno almeno. Va da sé poi che si passa alla fase di selezione delle news davvero interessanti e di valore, ed eventualmente al loro archivio. Se vedeste le cartelle del mio Mac… Migliori e più ordinate per categorie e sottocategorie della British Library di Londra!
In questo modo, quasi per caso, studiando e aggiornandomi su tutto, ho avuto il piacere di «scoprire» circa due anni fa quasi pionieristicamente Telegram.

Un’app era nata solo un anno e mezzo prima, il 15 agosto 2014, per volontà di due fratelli russi, Pavel e Nikolai Durov, totalmente ignoti ai più – loro come la loro creatura – e, al massimo, patrimonio della ristrettissima nicchia dei nerd. Una situazione certamente diversa da quella attuale, ma non poi così tanto a livello di massa, e che anzi, quando è «nota», peggiora forse ancora le cose. Tuttora, infatti, nonostante non faccia che crescere – al ritmo di 600.000 nuovi utenti al giorno e un aumento annuo di oltre il 50% – se ne sente parlare da stampa e tv, prim’ancora che dalla gente comune, come l’«Applicazione usata dai terroristi». E mi riferisco ad articoli apparsi su testate come Repubblica e Il Giornale, o servizi andati in onda in programmi come SkyTg24.

In quel periodo, per motivi di lavoro, consolidavo la mia esperienza nell’ambito del cosiddetto #SocialCare (titolo fra l’altro della mia rubrica su Techeconomy), Il Social Customer Care realizzato con testa, cuore e tutta me stessa, come ogni azienda dovrebbe fare, e mentre già predicavo e praticavo quello che poi avrei chiamato il mio #HelpMarketing, l’#HelpFullNess – un, il, nuovo modello di business, la nuova strategia per avere successo, raggiungere i propri traguardi ed obiettivi nel lavoro e nella vita, in questa nostra epoca di crisi – mi imbattevo in tentativi di innovazione, fatti ad esempio via WhatsApp o WeChat, ma che restavano limitati a nicchie, non avendo tali App le potenzialità per sviluppare usi maggiori e più proficui.

Si ricordi ad esempio, proprio per WhatsApp, il primo pionieristico caso di Brescia Mobilità, che già nel marzo 2014 annunciava: un «messaggino al numero 342/6566207» e largo a «informazioni su linee, orari, percorsi», domande o segnalazioni sul «trasporto pubblico locale», con «risposta in tempo reale». O, ancora, l’altro singolare ed emblematico caso di Nardi Elettrodomestici che, prima azienda italiana del settore, sbarcava su WhatsApp con un test di gradimento per i primi mille clienti registrati. Tutto ciò mentre testate come il Guardian o guru quali Jim Freeze parlavano di WhatsApp come #TheNextBigThing del Customer Service, tra i primi e più fruttuosi settori di applicazione per le aziende. Non troppo diverso il discorso per le news, particolarmente coinvolte per il valore delle push notifications in termini di raggiungibilità del cliente, del lettore tale o potenziale. Ci provò La Repubblica: 5.000 le iscrizioni in un giorno. Andò in crash in 24 ore.

Oggi WhatsApp è disponibile anche in versione desktop, ma con estremi limiti di gestione per grandi aziende. Per WeChat il discorso è diverso: da anni spopola in Cina. Dotata di piattaforma web, ha i vantaggi dell’Instant Messaging uniti a quelli di un social network, offre maggiori tutele alla privacy degli utenti e si presta forse meglio a un Customer Service completo. Come già notavamo in tempi non sospetti con Andrea Ghizzoni, Country Director Italy, già allora non pochi erano i brand presenti: come China Airlines, Burberry, McDonalds, Starbucks. Noi, però, non siamo la Cina. Emergevano, insomma, problematiche e rischi effettivi per i brand nel puntare su quelle applicazioni e solo su quelle. Tanto forti che, come accennato, rappresentavano la prima leva a spingere verso altrove.
Poi la «scoperta Telegram». Studiandola a fondo, grazie agli articoli, agli approfondimenti suddetti e poi al colloquio con gli esperti diretti – i nerd di cui parlavo sopra – rimasi stupita ed entusiasta dinanzi alla molteplicità di vantaggi che mostrava rispetto alle altre App, iniziando così a scriverne intensamente per TechEconomy.

Da lì, un passo alla volta, siamo arrivati a oggi: a «Telegram perché». Una domanda, che giustamente anche tu mi poni, una risposta, che senza punto interrogativo fa da titolo al mio libro, acquistabile sul sito del libro, su Amazon e sul sito della casa editrice, con la prefazione di Marco Stancati, Comunicatore di Impresa e illustre docente della Sapienza di Roma, e perle di contributi come quelli di Francesco Piero Paolicelli aka Piersoft (già OpenData Manager Comune di Matera e consulente a Lecce, membro Task Force Agenda Digitale Lucana), Roberto Buonomo aka ★Robby★ (ideatore, creatore e illustre, mitico gestore di @ProgressTelegram e @ProgressSponsor), Andrea Trapani, Guglielmo Crotti (direttore del blog AppElmo – Le Applicazioni di Guglielmo e del canale @AppElmo), Flavius-Florin Harabor.

Vale dunque la pena fare un po’ di chiarezza, oggi quanto mai in un ecosistema digitale, un mondo di social networking e App che nascono di continuo, copiandosi tra loro per non morire e che ormai – quasi in un ritorno al Big Bang originario, a un brodo in cui tutto è uguale tutto – la chiave di volta resta solo il business e il farsi veicolo di messaggi e contenuti come meri canali pubblicitari

Se dunque sul serio, con mente aperta, ci chiediamo «Telegram, perché?», 3… più 3 sono i suoi caratteri di forza: tutti legati al suo DNA. Vincente in due sensi: assoluto – in sé, per features intrinseche a Telegram, che la rendono esemplare per indispensabilità – e relativo, se cioè contestualizzato nella nostra epoca, in una comparazione con il panorama, i competitors, le altre App e social network concorrenti, che ne fanno apprezzare tanto più l’irripetibilità.

Tre, Infatti, i fattori chiave intrinseci alla sua costituzione genetica:

1. Velocità e sicurezza;

2. Offerta di una Customer Experience memorabile – la capacità di vendere un sogno via robot – al cliente interno ed esterno, al contatto-amico in Rete, sul piano personale e professionale, sociale ed etico, politico, formativo e informativo;

3. Unicità del rapporto qualità-prezzo: il tutto per tutti a costo (quasi) zero. Una relazione, cioè, tuttora irrintracciabile altrove, per proficuità e convenienza, tra risorse investite – economiche e non solo – e risultati raggiunti.

Tali fattori acquisiscono ancor più rilevanza se raffrontati con la galassia degli altri «cittadini e abitanti» del mondo digital, da Facebook e WhatsApp in poi, e con gli insuccessi, quando non le storture, cui sempre più conducono, aldilà di ogni Apparenza, noi utenti, sempre connessi, ma quasi sempre inconsapevoli. Violazioni della privacy e tracciamenti online e offline; disconnessione dal mondo, dagli amici, dalle news, dal sapere in senso autentico e, dunque, dall’educazione; sino al culminante dilagare di una Web Violence che è già violenza reale, come ogni giorno la cronaca non cessa di ricordarci.

Qui emerge il valore in senso relativo di Telegram, il suo plus doppiamente vincente:
1. Privacy garantita per mission;
2. Informazione vera contro ogni #FakeNews;
3. Lotta, impegno costante contro la violenza, in rete e nel mondo.

In questo quadro Telegram può definirsi «il braccio operativo» ideale, lo strumento par excellence di quei valori che da sempre vado predicando e praticando – progetti concreti di cui ogni giorno do testimonianza – e che chiamo #Digital #Education, #HelpMarketing, #HelpFullNess»: Educazione Digitale come Educazione Civica Digitale, e anzitutto Educazione, per riacquistare una nuova consapevolezza, responsabile ed etica, del Digitale come strumento, non buono né cattivo in sé, ma tale in base all’uso che se ne fa. Uno strumento, dunque, da usare bene per il bene. Un bene nostro e della società tutta, delle nostre famiglie e dei nostri figli, ma anche del nostro portafogli, della nostra impresa: questo è il nuovo modello di business, il nuovo modello per avere successo nel lavoro e nella vita”.

La copertura mediatica di Telegram ha spesso riguardato più la parte relativa alla cybersicurezza che agli di business. Il tuo focus invece mantiene un forte orientamento al mercato, per spiegare ad addetti ai lavori e non come tradurre uno strumento di comunicazione in una fonte di ricchezza. Corretto?

“Certamente sì, benché le applicazioni lato azienda, essenziali e risolutive per il successo negli affari, restino comunque soltanto un aspetto delle molteplici utilità, indispensabilità di Telegram per sciogliere molti dei nodi attualmente caratteristici non solo dei brand, ma della società tutta: del mondo dell’informazione e della comunicazione, e prim’ancora dell’educazione, di scuola e istituzioni, perfino della politica e della economia. Non a caso dico sempre, in generale, che la risposta più sintetica e autentica all’interrogativo «Telegram perché?» è tanto semplice quanto globale: perché ti risolve la vita. È la risposta alla domanda chiave: come fare business oggi, in questi nostri tempi di crisi, tramite il Digitale, usandolo bene, dunque proficuamente, in modo responsabile, etico e, così, produttivo e remunerativo. Telegram è lo strumento che, se ben adoperato, aiuta a raggiungere il successo, i propri traguardi e obiettivi, nel lavoro e nella vita: a beneficio non solo nostro, ma della società tutta, sul piano educativo e istituzionale, dell’informazione e della comunicazione.

Un’App, insomma, che già si pone come il miglior strumento per l’exit strategy oggi dalla crisi, nonostante la sua giovanissima età e la sua quantità di utenti alta in sé e crescenti ogni giorno ma, certo, numericamente non paragonabile a quella di altre App o social – benché proprio questa sua presunta utenza relativamente ristretta si riveli fattore decisivo dominante di successo.

Da qui il suo valore a 360° per tutti, da concepirsi non certo come un minus bensì come un plus, data la sua utilità, intesa come indispensabilità, sia per il Top Manager sia per la «casalinga di Voghera». E, concentrandoci su quello che molti chiamano il «Telegram For Business», la risposta alla tua domanda è già in quanto detto sopra. Vuoi qualche esempio? Riprendendo i primi tre punti richiamati sopra e vedendoli più nel dettaglio, pur non potendo eccedere per ovvi motivi di spazio, possiamo dire:

1. Velocità e sicurezza. Grazie all’infrastruttura con più Data Center e alla crittografia, Telegram offre prestazioni più veloci e sicure. «Quelli che vogliono ulteriore privacy», esortano sul sito, «dovrebbero controllare le nostre impostazioni avanzate e l’altrettanto rivoluzionaria policy». Ci riferiamo qui, per capirci, alle chat segrete, su cui non possiamo soffermarci ma… Rimandiamo ogni approfondimento al libro! Intanto, comunque, quanto detto fin qui è sufficiente per far comprendere la natura, la tipologia di messaggistica usata da Telegram: non esistono server concentrati «in qualche strana parte del mondo» – come invece accade con WhatsApp e Facebook. Non ci sono finte casseforti di cui poi dare subito le chiavi a qualcuno. I Data Center sono e restano frazionati in ogni parte del mondo: porti di mari nelle cui acque subito si disperdono. Senza che nessuno legga i tuoi messaggi: neppure volendo. Non ci sono casseforti, non ci sono chiavi. Da oggi, anzi, ancor più privacy e sicurezza, coniugate a quella velocità di cui ogni azienda ha bisogno per funzionare al meglio.

2. Employee Experience e Customer Experience memorabili, per il cliente interno o esterno, per il tuo contatto-amico in rete, sul piano personale e professionale. Il fatto che, diversamente da WhatsApp, Telegram sia basata sul cloud con sincronizzazione istantanea su ogni device – smartphone, tablet o computer – insieme alla possibilità di condividere un numero illimitato di foto, video, file di grandi dimensioni in pochi istanti, senza che questo occupi spazio, «mantenendoli nel cloud», significa che, ad esempio, una azienda può seguire e inseguire clienti – esterni e interni, Customers ed Employees – ovunque essi siano, alla scrivania o in mobilità, qualunque dispositivo abbiano sottomano, garantendo loro di trovar sempre informazioni aggiornate in real-time e con qualunque tipo di contenuto. Anche il video più pesante di How-To per la risoluzione di un problema, anche il keynote più massiccio da presentar domani in CDA. È il trionfo della Omni-Channel Experience: la omniscient customer experience tanto di moda adesso.

3. Ottimizzazione unica del rapporto qualità-prezzo: tutto questo disponibile per tutti, a costo (quasi) zero. Come visto, per iniziare a operare su Telegram, non occorrono biglietti all’ingresso diretti o indiretti. Non servono neppure competenze speciali: io stessa, ignorante della materia, ho creato il mio Bot, @RaquelZBot. Le API sono aperte e l’App t’indica, per prima, gli strumenti con cui creare Bot e implementare ogni altra funzione. Insomma, tante «meraviglie», tanti vantaggi competitivi a costo «quasi zero»: al costo massimo, cioè, di un piccolo sforzo se non sei un nerd o uno sviluppatore in partenza, per imparare i due o tre passi fondamentali da fare e utilizzare al meglio la piattaforma, o quelli, davvero minimi, di incaricare uno sviluppatore anche a basso budget per procedere in tal senso.

Si può insomma dire: massimo del ROI – in Employee Experience e Customer Experience, velocità e sicurezza – a investimenti davvero minimi. Quando invece, per creare un buon Bot su Messenger che funzioni e converta, per la diversa natura delle API di Facebook e la logica dell’algoritmo, che trova sempre modi di farsi valere, sei costretto ad affidarti a specialisti con i relativi costi e a spendere in qualche modo in #SocialAds, perché solo così Facebook si ricorderà di te e ti favorirà”.

Raccontaci la tua giornata tipo con Telegram. Come lo utilizzi per comunicare su base personale e professionale, e quali sono i canali di comunicazione collaterali che utilizzi per promuovere il tuo brand personale su Telegram?

“Sul piano personale… Vuoi sapere il mio status su WhatsApp? «Mi trovi su Telegram!». Eloquente, no? E sto contagiando chiunque mi conosca: tutti sanno che, se vogliono risposta garantita, devono contattarmi su Telegram. E non parliamo poi di Messenger, dove è tanto se leggo una volta a settimana! Eppure lo scrivo ovunque: @Rachele_Zinzocchi su Telegram! Non sai quanti ne ho convertiti: gente che ora ne è diventata quasi Ambassador. Durov dovrebbe staccarmi un assegno per tutti i nuovi utenti che gli ho portato!

Sul piano professionale, invece, 3 i punti essenziali:

1. I casi dei canali di cui mi occupo personalmente, come consulente o formatrice, e prima ancora per il «brand» che io stessa rappresento, col Progetto #Digital #Education e il suo Canale, ufficiale e primario, su Telegram qui https://t.me/RacheleZinzocchi, online la mattina alle sette con l’edizione del #TGZ, come lo hanno chiamato gli amici: 3 (o più) notizie di fresche di stampa, con rimandi le fonti originali quasi sempre in inglese, ma ogni volta accompagnate da spiegazioni in italiano, realizzate con la massima cura anche grafica con neretti, corsivi, sondaggi, emoji e hyperlink – una cura che vedo solo, al massimo, in un paio di altri canali ma, non a caso di «esperti veri»;

2. Vi sono poi gli «altri canali»: la maggioranza però, purtroppo, è gestita senza alcuna strategia. I relativi creatori, quando hanno iniziato a sentire parlare di Telegram (anche grazie alla sottoscritta?…), come al solito hanno dato l’«assalto alla diligenza», sbarcando – o provandoci – su Telegram: creando però gruppi che null’altro erano e sono se non la reduplicazione di quelli di WhatsApp, con tutti i difetti del caso, e a canali ridotti a semplice spam – «smarmellamento», si direbbe in gergo – di contenuti già postati su social o banali forme di Newsletter. Questi andrebbero davvero stigmatizzati, con un hashtag popolare in rete, #LoStaiFacendoMale! (o lo hai fatto, a seconda che l’«esperimento» sia ancora in corso). Troppo numerosi, ahinoi, sarebbero i casi al negativo da citare. Mi limito a ricordare quanto già rilevavo a marzo 2016, nello specifico in questo articolo per TechEconomy e in un’animatissima discussione in questo post sul mio profilo Facebook, del 16 marzo di quell’anno, divenuto occasione di confronto per molti e da cui poi, infatti, scaturirono nuove riflessioni (puoi leggerle qui e qui). Una serie di considerazioni balzate agli onori delle cronache su testate quali DataMediaHub per giorni (qui ad esempio le ottime considerazioni di Pierluca Santoro). Oggetto, appunto, quella mancata strategia del «far a chi fa prima», in un’assurda gara fra giornalisti e opinionisti, osservatori e «Soloni» di turno. Testate di news, siti, blog: per una volta #‎FamoloStrano! #‎FamoloConLaTesta!…», sbottavo nel post. «Fino a ieri: “Telegram, che è ‘sta roba?”», scrivevo. «Oggi: non manca quasi più presunto influencer e/o relativo Canale – senza contare testate come La Stampa, Repubblica, Libero – che non sia corso su Telegram». Con risultati quasi sempre fallimentari. Un giudizio che resta valido tutto oggi.

3. Altri canali invece, pur magari assai meno noti, meritano magari tutta la nostra attenzione: ognuno dal proprio punto di vista dà valore, incarnando con ciò l’essenza di quella natura di Telegram come applicazione che aiuta, risolve problemi, ti salva la vita – e allora sì che si può e si deve esclamare #LoStaiFacendoBene! Qualche nome (e qualche caso) per chiudere in bellezza? Canali già citati come quelli gestiti, non a caso, da persone più o meno famose ma numeri uno nel loro campo che hanno arricchito il libro con le loro perle di contributi: @ProgressTelegram, @AppElmo, rispettivamente di Roberto Buonomo aka ★Robby★ e Guglielmo Crotti, @InsiDevCode o @InsideTelegram di Flavius Florin Harabor, ma anche:

a. Imperdibile il «Maestro», Francesco Piero Paolicelli aka Piersoft con i suoi bot. Se te li cito tutti, ti faccio un romanzo! Rimando alla pagina del suo blog con l’elenco completo, limitandomi qui a segnalare alcuni casi storici, come «La Divina Commedia», un processo di «Educazione» vera, portato nelle scuole, testato da docenti come la Prof. Paola Lisimberti e dalla classe 3B del Liceo Scientifico Pepe di Ostuni – un clic e sul display, all’istante, ti trovi squadernata la Divina Commedia, Canto dopo Canto, verso dopo verso, o magari proprio quel verso che cercavi. O ancora @soldipubblicigovitbot: opendata pubblici del portale italiano del Governo – «la nuova stagione della trasparenza», l’aveva chiamata un tempo – il @vangelobot, il «Vangelo di Gesù nella versione CEI2008» a portata di… #TeleBot, che consente di «ricercare i versi per parola anteponendo il carattere ? oppure cliccare su Vangelo per avere un intero Capitolo o singolo verso a scelta»;

b. GOD morning – un buongiorno da Dio! Si tratta del Progetto Keep Lent, oggi GOD morning – un buongiorno da Dio! In altre parole, «il cammino social di Quaresima in preparazione alla Pasqua» curato dalla Pastorale Giovanile Pompei, che durante il periodo ha previsto «ogni mattina una breve nota vocale con il commento al Vangelo del giorno». L’unico, forse, a vantare un record quasi incredibile: 7000 membri, guadagnati in pochissimo tempo, tuttora seguaci del Canale benché, con la fine della Quaresima, abbia per ora «interrotto le trasmissioni». L’Avvento però è in arrivo, con la versione ad hoc del Canale: dal 3 dicembre sugli schermi Telegram!

c. Concludiamo con due esempi: «Valore condiviso, nella professione e nella vita» e l’«Informazione Utile». Il primo? Perfettamente espresso nei canali di Paolo Pugni Un caffè con Paolo e Vendere Valore. Il secondo? il Chatbot di Quartz. Fra i primi in assoluto a sbarcare su Telegram con incredibile successo, si è con il tempo tanto evoluto da diventare oggi questo: Hugo. Con lui puoi parlare di Machine Learning, IoT, Robotica, Tecnologia. Puoi chiedergli tutto. E può persino aiutare gli altri siti e testate di news a creare i propri Bot”.

Dalla realtà digitale a quella fisica, dalla messaggistica istantanea alla carta permanente. Raccontaci della tua sfida di pubblicare in versione cartacea un libro di Telegram.

“In generale avrei potuto scrivere questo e molti altri libri assai prima di adesso. Per scrivere un libro però per me, ex normalista ma soprattutto filosofa nel DNA, non poteva esistere la possibilità di farlo come si deve – come il mio perfezionismo richiede – se non ipotecando 2 o 3 mesi di lavoro solo su quello, a prescindere dal formato in cui lo si fosse pubblicato. Ho rifiutato non so quante proposte di grandi case editrici negli ultimi mesi. A spingermi però oggi, invece, verso questa diversa decisione, tre fattori nello specifico:

1. La voglia, non lo nascondo, di… Piantare finalmente una bandierina anch’io – ma ben fatta – su un tema come Telegram di cui ero già ritenuta la massima esperta in Italia tra i divulgatori, ma che poteva vantare a riprova di ciò solo articoli, pur innumerevoli, scritti negli anni. Un libro insomma ci stava tutto. O almeno un instant book: da pubblicare, quello sì, in forma digitale come e-book. Un’idea capace di rassicurare il mio perfezionismo sulla non necessità di dover esaurire il tema e, dunque, di potermi permettere il lusso di non realizzare l’opera omnia che, magari, avevo in testa;

2. La contingenza della proposta, giunta poi dalla casa editrice quasi per caso sul piano delle tempistiche e della contemporaneità, tanto più allettante quanto più si sa, certe volte si può lavorare meglio con editori di dimensioni non gigantesche, ma con spirito innovativo;

3. Infine, essenziale, l’agosto 2017, in cui per il 17º anno non sono andata in vacanza, e con mia stessa sorpresa mi sono trovata a scrivere… 180 pagine in 15 giorni! Più qualche giorno di rilettura. Insomma, a quel punto, il presunto instant book, destinato teoricamente alla semplice pubblicazione digitale, aveva e come la piena dignità di un libro tout court. Di un cartaceo, ben più che presentabile sulle scrivanie di direttori così come dei lettori più esigenti – prova ne siano le recensioni a cinque stelle su Amazon – e, soprattutto, ben più che accettabile anche dal mio perfezionismo! Il giudizio finale lo lascio naturalmente ai miei «25 lettori». Le vendite, comunque, stanno andando benissimo e la rassegna stampa, da mesi, non si conta.

4. Un ultimo fattore? Una sorpresa anche per me, scoperta dopo aver comunque preparato entrambe le versioni, e-book e cartaceo (due prodotti diversi, poiché la carta ha… l’aroma della carta ed è super aggiornata, l’e-book ha dalla sua ricchezze come 500 hyperlink alle fonti dirette e originali, roba che, se un «gggiovane» lo studia davvero, può dir ciao a master da 10.000 €! Il fatto, cioè, che moltissimi abbiano fatto esplicita richiesta del cartaceo anziché del digitale, o abbiano comunque mostrato una netta preferenza per il primo formato. Sarò sincera: numerose ricerche americane già mi avevano preallertata sul punto. Sperimentarlo direttamente, però, è un’altra cosa. La carta non è morta, né mai forse morirà. La riprova che l’innovazione deve sempre coniugarsi con il mantenimento della tradizione se e nella misura in cui ciò sia necessario. Come Telegram: innovativa sì, ma tutt’altro che complicata come i più, che non la conoscono, ancora temono, e che anzi una vecchietta ottantenne capirebbe e si divertirebbe di più a usare che un quarantenne. Come vuole la tradizione, insomma, cambiare non significa buttare il bambino con l’acqua sporca, bensì tenere ciò che di buono ci regalano passato e presente, ripartendo da lì verso nuovi orizzonti”.