Paolo Raffin, Studente della Digital Combat Academy a Milano

Fare un’esperienza di lavoro all’estero è un investimento per la vita. Quando quest’esperienza dura 6 anni, e per giunta in una terra dinamica come Londra, il valore che la persona porta con sé per tutta la vita è inestimabile.

Paolo Raffin è il protagonista di questa storia, nonché esempio perfetto di cosa voglia dire uscire dalla prima zona di comfort e riportare a casa know how internazionale.

Dopo un percorso di studio esemplare presso il Politecnico di Milano e qualche prima esperienza di lavoro in Italia, Paolo dirotta le competenze di problem solving acquisite all’università verso una carriera londinese in veste di Product Owner e Product Manager.

Dopo 6 anni di Londra, oggi, Paolo torna a Milano – la ‘sua’ Milano. Una città che definisce diversa, più dinamica e ricca di opportunità, che rappresenta per lui soprattutto terra di casa.

Tanti parlano di cervelli in fuga. Pochi si ricordano esiste una visione robinhoodiana del mondo lavorativo. Una visione in cui talenti come Paolo non fuggono, bensì vanno a prendere a chi ha di più per poi ridare in prospettiva a chi ha di meno.

Felici di accogliere il grande ritorno di Paolo in Italia, faremo di tutto per ricordargli le grandi qualità di questo Paese. Primo tra tutti, l’umanità.

Centodieci e lode in Ingegneria delle Telecomunicazioni non si prende per caso, specie al Politecnico di Milano. Per conseguire un simile risultato accademico c’è bisogno di disciplina, metodo e costanza. Eppure la vita professionale ti ha portato relativamente distante da quella strada. Come hai vissuto il tuo percorso di studi e, col senno di poi, cosa ti sei riportato a casa che ti sarebbe tornato utile per la carriera?

“Il ricordo della mia vita al Poli è quasi il ricordo della vita di un’altra persona o, più precisamente, di qualcuno che viveva la vita di un’altra persona. Ma è anche il bellissimo ricordo di quel vivere mindful & purposeful che ha caratterizzato tutti quegli anni.

Mi sono portato a casa il saper lavorare per obiettivi, il saper concentrarsi sul problema da risolvere fino a quando non è risolto, e la fiducia in me stesso, nata dalla consapevolezza dell’essere in grado di lavorare sodo ed ottenere risultati.

Da un altro punto di vista, questa stessa consapevolezza mi ha aiutato a capire anche cosa, di quegli anni, non mi ha direttamente aiutato, soprattutto alla luce della direzione che ha poi preso la mia crescita professionale.

Permettimi di riassumere in tre punti le assunzioni che avevo una volta uscito dal Poli e cosa invece ho imparato negli anni successivi :

1) ‘Le vita è una sequenza di problemi da risolvere che qualcun’altro definisce’.

→ pur condividendo il concetto di vita come sequenza di problemi da risolvere, una volta fuori dal Poli ho imparato che i problemi sono quelli che tu definisci, che tu ritieni opportuno risolvere, che sono importanti in accordo con chi sei tu e quali sono i tuoi valori. Aspettarsi che qualcun altro definisca completamente il problema è pericoloso, spegne la tua creatività, la tua individualità e, di conseguenza, il tuo valore unico.

2) ‘I problemi sono sempre complessi e richiedono soluzioni complesse che a loro volta richiedono competenze molto strutturate’

→ mi sono presto reso conto che anche questo modo di pensare è sbagliato. I problemi spesso possono essere risolti in modo semplice e diretto, l’assunzione che la complessità stia tutta nella soluzione spegne la creatività e rimuove l’attenzione dalla fase di ricerca e definizione del problema, che spesso si rivela essere davvero la parte più difficile. Più volte nella mia carriera e nella mia vita ho trovato soluzioni semplicissime per problemi che invece ho impiegato anni ad identificare.

3) ‘Il tuo ruolo è risolvere il problema ed il tuo valore è basato unicamente sulla tua abilità di risolvere il problema’.

→ siamo persone non siamo algoritmi. Non devi valutare te stesso sulla base di come risolvi i problemi definiti da altri, vorrebbe dire vivere sui valori di altre persone.

Come individuo, il valore che puoi portare va infinitamente oltre il saper ‘implementare il metodo X nel linguaggio Z’, perché il valore più alto che puoi portare sei tu, il tuo effetto sulle altre persone, la tua energia, la tua voglia e capacità di comunicare e di far succedere cose. Nel momento in cui ti rendi davvero conto che il tuo valore non ha limiti, e che non è definito dalle aspettative e dal giudizio di altre persone… ecco, in quel preciso momento sarai libero di essere chi vuoi, e chi realmente sei.

La conseguenza principale di queste tre assunzioni è il creare una mentalità che rifiuta il concetto di fallimento, definito quasi sempre come incapacità di risolvere i problemi e soddisfare le aspettative di altre persone.
Niente spegne la creatività e la passione come la paura di fallire.
Il fallimento non esiste, esiste solo l’opportunità di imparare e migliorare”.

Lo sbarco nel mercato del lavoro è uno dei momenti più delicati per un giovane: una volta dentro, poi la partita diventa parzialmente più semplice. Dal 2008 al 2012 la tua città di lavoro ha combaciato con quella di provenienza. Parliamo di Milano, e in particolare delle tue esperienze Altran, Neptuny e Aresys. Di cosa ti sei occupato nello specifico in queste 3 aziende e come è evoluta la tua professionalità al loro interno?

“Finita l’università, non sono ancora consapevole dei miei talenti ed inclinazioni naturali, e di conseguenza mi sento molto confuso.

So solo che mi piace la lingua Inglese e che voglio imparare a parlarla perfettamente: parto subito per Londra, mi innamoro follemente della città e imparo bene la lingua. Dopo soli 4 mesi però torno a Milano, per doveri sentiti, forse per paura, o forse semplicemente perché non è ancora il momento giusto.

Mi butto nel mondo del lavoro, voglio iniziare la mia vita professionale. Come tanti, finisco nel mondo della consulenza, che in realtà di consulenza non si tratta, ma di outsourcing.

Il mio primo giorno di lavoro inizia a Gennaio 2009, un mattina in cui Milano si sveglia con la neve: in Altran mi presentano ai senior managers come il nuovo consulente, ‘il ragazzo da 110 e lode in Ingegneria’…’Ah, Ingegnere! Ottimo! Senti il mio pc non funziona bene, puoi dargli un’occhiata per favore?’ Dopo 5 anni di fisica e matematica teorica è già chiaro che qualcosa non va. Il lavoro non fa per me, dopo pochi mesi voglio scappare e cerco qualsiasi cosa mi porti fuori da quel mondo.
Rifaccio però lo stesso errore ed inizio, ancora come ‘consulente’, da Fastweb per Neptuny. Fool me once shame on you, fool me twice shame on me. Duro un po’ di più, ma le mie giornate non hanno davvero senso, non vedo, anzi direi non sento, il perché della mia attività.

Quando Aresys si presenta, è come una boccata di ossigeno: è una realtà molto più piccola, giovane, sono tutti ingegneri come me, tutti usciti con 110 e lode; in automatico, ancora una volta, il mio cervello pensa: ‘si, è l’occasione giusta’. In Aresys sto bene, incontro delle persone che poi diventeranno veri amici, persone di cui non posso fare a meno e che ancora oggi mi danno energia, affetto ed inspirazione tutti i giorni. Rimango quasi 3 anni, mi sembra di essere davvero felice, faccio e sono un ingegnere…

Fino a quel giorno di autunno in cui mi arriva una chiamata, dal nulla…

Parlano in Inglese, rispondo subito che non sono interessato e riaggancio.

Il destino decide di fare come il postino e suona una seconda volta… la seconda chiamata è il treno da prendere, o meglio, l’aereo su cui saltare…

è Londra a tornare da me, ma… ho il coraggio di farlo davvero?”.

A un certo punto la svolta. Londra, Londra, e ancora Londra. La capitale inglese diventa la tua culla, e anche la tua via di fuga da una Milano che, anche solo pochi anni fa, rappresentava una città molto diversa da quella che vediamo oggi. Prova a ricapitolarci quali sono state le sfide che hai dovuto superare oltremanica. Lungo i tuoi 6 anni di permanenza a Londra, quali sono gli ostacoli maggiori che hai dovuto affrontare?

“‘A Leap of Faith’, è così che arrivo a Londra: sento che è la decisione giusta e letteralmente mi butto senza avere idee chiare sul futuro.

L’ostacolo maggiore, e forse l’unico vero ostacolo, è l’inizio. Il ritrovarmi da solo, in una città immensa che non conosco bene, senza amici o conoscenti, passare da essere un veterano in una piccola realtà, ad essere l’ultimo arrivato in una azienda enorme, Amadeus, per fare il Business Analyst, qualcosa che ancora non ho ben chiaro.

Vivere a Londra è però il mio destino, e presto si rivela per quello che è, una bellissima avventura: amo la città, anche dopo anni ogni giorno mi sveglio e penso ‘cxxxo! Vivo a Londra!’.

È la città in cui sento costantemente che le cose possono davvero succedere, dove imparo e conosco il mondo, ma soprattutto dove imparo e conosco me stesso.

Hai usato bene la parola culla, Londra è dove cresco, sia dal punto di vista personale che professionale: è dove maturo una maggiore consapevolezza di chi sono e sposto il mio focus da macchine e processi alle persone ed al creare valore.

Inizio quindi ad occuparmi di prodotto, a concentrare i miei sforzi sul cercare e definire i problemi da risolvere per creare valore.

Parto nel 2015 come Product Owner per un’altra realtà grossa, Sky UK, per poi arrivare come Product Manager nella startup Hostmaker nel 2018.

L’esperienza in Hostmaker è intensa, e in poco più di un anno mi permette di imparare una infinità di cose e di comprendere ancora più a fondo chi sono, quali sono i miei talenti e cosa davvero mi appassiona: comunicare.

‘Start with Why’ di Simon Sinek diventa la mia bibbia: il mio interesse non è più solo sul prodotto, il what, ma anche sulla comunicazione, sul lavorare per rendere chiaro il grande Why, lo scopo, i valori, la visione per il futuro”.

Arriviamo dunque al presente, momento della tua vita in cui riesci a combinare Italia e Regno Unito al contempo. Sei infatti tornato a Milano, il lavoro è impegnativo, ma riesci a collaborare anche a progetti distanti, da remoto. Concludiamo allora con una panoramica sul tuo qui-ed-ora. Cosa tiene impegnata la tua testa oggi a livello professionale, e che obiettivi formativi ti sei dato con noi?

“Milano è oggi una città molto diversa da quello che era nel 2012. Non solo è cambiata molto dal punto di vista urbanistico e architettonico, ma anche dal punto di vista culturale. Milano è diventata ancor più un centro internazionale, caratterizzato da dinamismo ed opportunità.

Ma soprattutto Milano è casa.

Anche io sono una persona molto diversa, più consapevole delle mie possibilità, del valore che posso portare e che posso creare.

Sono contento di essere tornato.

Al momento collaboro come senior product manager per una piccola startup in centro Digital Attitude; sono molto appassionato del progetto, il team è molto giovane ed è un mix interessantissimo di talenti e competenze diverse, tutti pronti a prendersi responsabilità e lavorare sodo. Sono convinto che possiamo fare tanto e ogni giorno è una nuova sfida per imparare cose nuove.

Nel frattempo collaboro da remoto con amici a Londra su altri progetti innovativi, ed aiuto qualche amico a Milano ad iniziare con nuove idee.
Mi occupo principalmente di delineare le strategie guida per il prodotto e per il brand.

Adoro avere nuove idee, sperimentare ed imparare continuamente.

Sono un Activator, ho sempre bisogno di vedere cose succedere, di creare.

Mi sono iscritto a questo corso proprio per questo motivo, perché voglio sviluppare delle competenze mirate, e mettermi nella posizione di poter iniziare e far succedere le cose ADESSO, senza dipendere da altri: ho un’idea, un’ipotesi, voglio iniziare a testarla subito.

Se da un lato sono paziente e perseverante nell’inseguire risultati, dall’altro, quando si tratta di iniziare e di fare, ho molta meno pazienza.

Il mio obiettivo è trascendere il product thinking ed arrivare al brand thinking.

Nel concreto voglio imparare a costruire un brand, e a comunicare in modo chiaro ed efficiente.

Come avrai capito… non vedo l’ora di iniziare e di provare tutto sul campo.

Ci vediamo il 28 settembre!”.