La grammatica del lavoro: categorie protette diversità ed inclusione.

– Dalla rubrica di Federica Cortesi, “The Buzz” –

Senti qua. Un giorno come tanti vai al lavoro (o accendi il pc se in smartworking), incontri i tuoi colleghi e tra una chiacchiera e un caffè esce la notizia: ci sarà una nuova assunzione. Nessuno sa di cosa si occuperà la persona in ingresso; girà però una voce : “…è categoria protetta”.

Seguono sguardi che sfociano tra la compassione e la miseria, qualche sorriso di circostanza come fosse un argomento taboo e via, tutti alla scrivania.

Ti sei mai chiesto cosa vogliano veramente dire le parole “Categoria protetta”? È una tematica delicata e importante da comprendere, anche per i datori di lavoro, che dovrebbero conoscere le regole che ne impongono l’inserimento in azienda. 

Andiamo al dunque. 

Si definiscono categorie protette le persone che, data una condizione di svantaggio (sociale, personale e/o medica) godono di una tutela particolare, volta a favorire il loro accesso nel mondo del lavoro. Parliamo della Legge n.68 del 1999 che regolarizza la promozione dell’inserimento e della integrazione lavorativa delle persone appartenenti a due categorie specifiche:

  • Le appartenenti all’Art. 1 , persone affette da disabilità per una percentuale di almeno il 46%
  • Le appartenenti all’Art.18, nella quale rientrano vedove e orfani del lavoro, per servizio e/o di guerra 

Al netto del fatto che, una minorazione fisica e/o psichica non coincida per forza con una riduzione delle capacità lavorative, la Legge sopracitata si prefigge di tutelarne i soggetti appartenenti oltre a promuovere l’integrazione professionale.

Senza addentrarci nel sistema di riconoscimento dei requisiti per accedere alle Liste di collocamento mirato, ove registrate le persone riconosciute come tali, il datore di lavoro, per rispettare gli obblighi di legge, dovrà garantire la “quota di riserva”, altrimenti detta come numero minimo di personale assunto  iscritto alle suddette Liste. Questa quota, definita in termini percentuali, varia a seconda del numero totale dei dipendenti costituenti l’intero corpo aziendale. A malincuore aggiungo che non sempre le Aziende sono pronte poi ad includere a tutto tondo queste risorse.

Ben vengano le assunzioni dedicate anzi, ne siamo tutti grati perché capaci di arginare discriminazioni, seppur in minima parte. Ciononostante questo concetto di integrazione dovrebbe andare di pari passo con meriti e riconoscimenti sul  lavoro che,  molto spesso faticano a presentarsi. 

Diversity Management. Diverso da chi?

Non solo Categorie Protette; per diversità si intende l’insieme delle caratteristiche culturali, di genere, di orientamento religioso o sessuale, di etnia, di abilità fisiche o psicologiche presenti in Azienda. Fino a non molto tempo fa si tendeva ad annullare o peggio, negare, l’esistenza di differenze tanto da idealizzare un modello di lavoratore tipo stereotipatamente perfetto. Fortunatamente, con il passare degli anni, si è sempre più passati ad una gestione inclusiva delle diversità. 

La costante accettazione dell’ eterogenia che ci circonda, ha permesso la trasformazione di aspetti inizialmente considerati ostacoli in valore, favorendo lo sviluppo del Diversity Management.  Che cos è? E’ letteralmente la “Gestione delle diversità” intesa come promozione, valorizzazione nonché coinvolgimento ed inclusione delle persone profuse delle peculiarità che le caratterizzano. Se ci pensate, è un po’ come in natura, dove ogni unità ecologica  prende forza dalle sue infinite combinazioni, generando un’ indissolubile ricchezza. Ed è su questi aspetti che bisognerebbe concentrare le proprie premure aziendali. Chi non vorrebbe far parte di un Gruppo che non solo si promuove come fautore di integrità e filantropia ma che effettivamente fa sentire tutti a proprio agio perché liberi di esprimere la propria diversità? 

Il risultato è duplice. Da un lato abbiamo lavoratori sereni, sottoposti a meno stress e che con molta probabilità lavoreranno meglio, infondendo il loro valore aggiunto; dall’altro un’immagine aziendale limpida ed onesta, sgombra dai classici clichè. Come nella locuzione di Giovenale “Mens sana in corpore sano”, se le persone sono le prime a star bene, non ci sarà bisogno di scervellarsi in artefatte strategie. Saranno le persone a parlare per l’Azienda.

Avengers Uniti!  Superpoteri e Personal Branding.

Veniamo a noi.  Diversity : Mangement = Superpoteri : Supereroi. Direte voi, che c’entra con la lezione di Hr Management per principianti ? C’entra eccome.

Proprio come dei Supereroi ognuno di noi porta con sè un bagaglio di esperienze e di capacità ( o poteri?!) propri da renderlo unico e come tale, ha l’obbligo morale di condividerlo (e di saperlo condividere). Come gli Avengers! Solo così sia il singolo, sia il gruppo saranno in grado di trarre l’energia e il vigore necessari per portare a termine un compito (o missione).

La domanda che mi viene maggiormente posta in questi casi è “Come faccio a raccontare la mia diversità affinché  l’altra parte provi per me ammirazione invece di un più imbarazzante senso di commiserazione?”

La risposta è quasi sempre la stessa: “Più è personale, più è speciale”.  

Nello specifico, ti elenco qualche “Happy Pills” da mettere in atto per il tuo personal branding. 

  1. Punta sull’ironia. 

Diciamocelo, le persone che piangono su se stesse non generano mai molta simpatia all’occhio esterno. Per questo, premia il raccontare come la vostra unicità abbia giovato al vostro lavoro e a quello del gruppo. Non solo in termini lavorativi. 

Dai, ti aiuto, inizio io. 

Durante l’esperienza da recruiter,  nel bel mezzo di un colloquio finalizzato all’inserimento di una risorsa appartenente alle Categorie Prot. (Art.1), notando l’imbarazzo che la persona di fronte stesse provando, ho sorriso e rotto il ghiaccio dicendole: “ Ehi, non preoccuparti, stai parlando con una che ha metà della sua faccia ricostruita in titanio e fibra di carbonio!” Ha riso, si è aperta, ha condiviso con me la sua storia e concluso in serenità l’intervista.

  1. Cambio di prospettiva. 

Qualsiasi cosa tu abbia affrontato, sicuramente ti ha messo nella condizione di stravolgere le tue certezze, cambiando piani, luoghi e occhi. Questo aspetto è traducibile con il concetto di flessibilità intellettuale, in grado di proiettarti in una dimensione diversa e rendendoti sicuramente un problem solver, capace di risolvere questioni importanti. Condividilo. Chi non vorrebbe un risolutore nel proprio team?!

  1. Resilienza.

Propriamente conosciuta come la capacità di subire un urto senza rompersi. Se sei qui, se stai andando avanti vuol dire che non hai mollato. Vuol dire che nascondi dentro di te una forza d’animo incredibile e che sei capace di grandi trasformazioni. Essere resilienti significa saper affrontare quello che sta succedendo nel mondo. Nonostante le crisi che caratterizzano le nostre fasi di vita, riesci ad essere centrato sull’obiettivo. Il motivo? Sei unico. 

Tirando le somme, cerca i posti che più ti fanno sentire parte di qualcosa di più grande, è a quello che sei destinato; allo Straordinario.

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