Enrico Verga, Senior Strategist e Business Analyst per Forbes & Il Sole24Ore

Abbiamo conosciuto Enrico Verga, come nelle migliori occasioni, per puro caso. Eravamo diretti verso l’hotel di Maratea che ci avrebbe ospitato durante l’evento Heroes e, una volta sulla navetta, ci siamo incrociati con Enrico.

Eravamo scesi a Maratea per tenere uno speech all’evento, e dunque allenare l’ars oratoria, ma la parte migliore di queste manifestazioni è fare il contrario, ovvero ascoltare le storie di professionisti validi. Bastano pochi secondi per percepirne il valore, e con Enrico abbiamo saputo capito di avere a che fare con un professionista di serie A.

La frenesia dell’evento ci ha impedito di approfondire la conoscenza in Basilicata, ma ci rifaremo presto grazie alla comune permanenza sul territorio milanese. Nel frattempo, abbiamo pensato di intervistare Enrico e condividere il suo percorso con la nostra community.

Di seguito le sue risposte.

Il mondo del lavoro avanza e la formazione accademica tradizionale, spesso, sembra non stare al passo. Eppure il mondo delle relazioni internazionali segue altre logiche, e tu puoi darci una fotografia più limpida del match tra formazione ricevuta ed effettive necessità del mercato. Che giudizio complessivo daresti della tua esperienza universitaria presso l’Università la Cattolica del Sacro Cuore a Milano?

“Purtroppo, lo dico con rammarico, la UCSC, al netto di un edificio molto bello, non mi ha offerto significative esperienze. mi sono laureato nel 2003, studiando e lavorando. quindi non avevo modo di seguire molto le lezioni. vi erano indubbiamente docenti competenti, ma molti erano arroccati nelle loro posizioni di ‘io sono il docente tu ascolta e impara’.

Non farò nomi per educazione, ma trovarsi a trattare un esame di storia internazionale (post muro di Berlino nel 2001) e dover discutere di temi come la guerra fredda ( che erano dispense vecchie di 10 anni) fa riflettere. Anche la mia tesi, piuttosto innovativa ai tempi, sulle Low tech per lo sviluppo sostenibile, praticamente obbligato a scriverla in italiano.

Non da ultimo volevo fare un PHD in UCSC stile USA: non chiedo borsa e tu mi lasci tempo libero per lavorare. Nessuna possibilità. ‘Da noi il PHD devi rinunciare a tutto per studiare, e poi sei comunque vecchio!’ mi sentii rispondere. Ora considerando che ho una esperienza internazionale in USA o il resto del mondo civilizzato il PHD lo fai quando vuoi mi ha piuttosto deluso.

Alla fine ho deciso di fare un PHD con l’università di Pavia e Bergamo dove han compreso i temi che volevo trattare”.

Dieci anni sono tanti, specie se investiti per la stessa azienda. Eppure la tua esperienza come Country Manager per Z-Card si è sviluppata lungo due lustri, precisamente dal 2005 al 2015. Come sei arrivato a questa opportunità internazionale e quanto complesso è stato ricoprire questo ruolo?

“In vero il mio profilo di LinkedIn è diciamo lacunoso. È corretto che ho passato (ma come consulente mai stato assunto) 10 anni con la stessa azienda. Solo che dopo i primi 5 anni, quando il gruppo che avevo lanciato in Italia cominciava a muoversi da solo (tradotto non dovevo più martellare i potenziali clienti con le chiamate a freddo, una cosa che si usava) ho cominciato a seguire anche altri clienti.

Ho trovato Z-card con un annuncio su un social network, oggi un poco decaduto, chiamato A Small World. Ai tempi era più innovativo di Facebook (e anche suo contemporaneo). Poi si è perso per strada”.

Libero, Linkiesta, Forbes, il Sole 24 ore, Il Fatto Quotidiano. Nel mare magnum delle attività che compongono la tua agenda mensile, spicca una solida predisposizione alla scrittura, all’analisi. Di cosa ti occupi nel dettaglio e come diversifichi i tuoi articoli sulle diverse testate?

“Per correttezza ho terminato di lavorare con Libero da qualche anno. Cerco di offrire analisi (o come io li considero spunti di riflessione) per i lettori e i miei follower che mi seguono (a prescindere dalla testata tramite i social Twitter e LinkedIn).

Di solito su testate come Il Sole, Il Fatto, Manager Italia cerco di affrontare temi con un focus principale sulla business intelligence, spiegare che aria tira in certi settori (dalla IA alla management consultant) intervistando o integrando thought leader del settore. Mentre su altre testate come Linkiesta affronto più tematiche di ampio respiro di solito con un taglio internazionale.

In entrambi i casi cerco di avere sempre un approccio contraria, diciamo che evito di seguire le notizie del gregge”.

Aiutare gli italiani all’estero è un gesto umanamente nobile, prima ancora che utile. Tu hai creato International Dream Jobs, aggregatore annunci di lavoro internazionali per connazionali in cerca di una solida opportunità all’estero. Cosa ti ha spinto a farlo?

“Ci sono molti italiani che preferiscono fare esperienza anche all’estero. Ho creato dram jobs com una semplice daily bulletin. Senza ambizioni economiche (il tutto gira su paper.li.) spero che possa essere utile a chi mi segue per trovare un lavoro serio”.

L’Agenzia per l’Italia Digitale si pone l’obiettivo, ambizioso, di favorire l’innovazione e la crescita economica nel Belpaese. Quando hai cominciato a interessarti di Intelligenza Artificiale e come sei entrato a far parte di una Task Force AI-based nell’AgID?

“Per essere corretto ho ricevuto comunicazione che la task force ora è dimissionaria, e che le sue mansioni saranno presto riprese da una equivalente task force nel Mise. Ovviamente è stato un grande onore poter offrire i miei spunti di riflessione, analisi, e osservazioni, ad Agid.

Credo che affrontare il tema IA in ambito PA sia molto importante per il futuro dell’Italia e lo sviluppo di una seria strategia digital che vada oltre le posizioni dei singoli partiti. Il bando era disponibile in rete, come oggi lo è quello del Mise”.

Le persone che hanno voglia di correre veloci nel lavoro svolgono solitamente numerose attività in contemporanea. Si tratta di seminare quanto più possibile in vista di un futuro migliore in cui raccogliere i frutti. Se ti chiedessi di immaginare l’Enrico Verga del 2022, tu cosa vedresti di nuovo, o diverso, rispetto ad oggi?

“Oddio, non saprei. Se guardo all’Enrico Verga del facciamo 2014 (quindi si e no 4 anni fa) pur se era presente in nuce già una serie di impostazioni lavorative nuove era tutto ancora in divenire.

Dal 2015 , per esempio, ho ampliato molto la mia presenza sui media per ampliare la mia visibilità e elevare il dialogo con potenziali lead. Credo che la chiave della sopravvivenza (lascio il termine successo ad altri, come il signor Musk e il suo recente successo con Tesla) sia essere adattabili.

A mio avviso lo stesso ragionamento vale anche per le aziende. Avere abilità di discernimento, flessibilità e dinamismo sono elementi essenziali.

Diciamo tra 4 anni mi vedo (ottimisticamente) con qualche kg in meno (me lo si conceda dopo 5 viaggi a Napoli anche il fisico accusa la ottima cucina partenopea), ancora più legato a aziende, clienti e persone che ho trovato sul mio cammino, e probabilmente con qualche capello bianco in più (ma non troppi).