Davide Dal Maso, il Più Giovane Social Media Coach in Italia

C’è chi conquista un Paese per via della sua giovane età, e chi lo fa perché inventa una nuova figura professionale. C’è poi chi, come Davide Dal Maso, riesce a fare entrambe le cose.

Davide è il più giovane Social Media Coach in Italia, nonché uno dei volti più noti di tutto il panorama digitale nostrano. Ha il sorriso, genuino, del bravo ragazzo. Ha soprattutto la tempra professionale, e la visione, di chi sa di poter avere un impatto reale sulle aziende formate.

Da quando era giovane – o meglio, ancora più giovane – Davide si è dato la missione di diffondere il verbo del digitale nelle terre analogiche dell’imprenditoria italiana. Attraverso lezioni, workshop e percorsi di consulenza è riuscito a diffondere un’idea: il digitale aiuta, e non solo la comunicazione, bensì anche il business.

Contro ogni pregiudizio legato alla sua età, è riuscito a farsi rispettare, da sempre, nel mondo dei grandi. Ha maturato un’esperienza all’estero per uscire dalla zona di comfort ed è tornato a fare del bene in casa, prima nel suo Veneto, e poi in tutta l’Italia.

Hai presente quando senti di avere la sensazione che una persona vincerà nella vita? Ecco, io ho quella sensazione di Davide. Non so dove professerà il suo verbo digitale da qui ai prossimi 5 anni. So solo di volerlo continuare a seguire, fedelmente, perché ha bruciato troppe tappe in troppo poco tempo per non essere predestinato alla vittoria.

Per voi, la sua storia.

I social media rappresentano un mondo vasto e sconfinato. Tu, sin dalla giovane età, hai bruciato le tappe per sviluppare una professionalità a 360 gradi proprio all’interno di questo universo. Dal coaching aziendale alla formazione passando per il public speaking, hai macinato tanta strada in poco tempo. Quali sono le 3 esperienze più significative che hai portato a casa negli ultimi anni?

“Le mie 3 esperienze più significative: direi un corso di management denominato ‘Business Game’ che ho svolto con successo in 4a superiore, mi ha permesso per una delle prime volte di mettere in evidenza le mie conoscenze e capacità che finora a scuola non ero riuscito ad esprimere e mi ha portato a creare un piano di un’azienda virtuale e poi a parlare ad un evento di Federmanager come rappresentante degli alunni con un centinaio di presenti e qualche TV locale. È stata la prima volta che ho parlato e per un ragazzino abbastanza introverso e timido come ero, mi ha dato quella scossa per puntare di più su me stesso.

Successivamente l’esperienza a Cardiff di 6 mesi in cui gestivo un team di 3 persone addette alla comunicazione online di questo ente governativo paragonabile alla nostra Legambiente, un salto di responsabilità e quindi di qualità incredibile per me di cui vi parlerò più avanti.

La terza è l’esperienza attuale come professore di 3a superiore. Calcolavo che nel 2017 ho formato in corsi di social media circa 200 persone adulte attraverso vari enti in cui sono docente come la Camera di Commercio o Confindustria. Amo le sfide e quella palesatami davanti a metà luglio di avere una classe di 16enni da formare una volta a settimana avrebbe messo alla prova soprattutto me.

L’ho accettata e ora con un normale incarico da professore tratto con i ragazzi una rivoluzione, infatti la materia ‘social media e promozione online’ non era mai stata inserita in una scuola superiore tecnico-professionale come quella dove insegno.

Mi sono posto molte domande su come approcciare questa classe e diverse risposte le ho trovate grazie alla mia rete di contatti di LinkedIn a cui ho rivolto queste mie perplessità.

Ho dovuto tenere presente che le dinamiche interne alla classe sono totalmente diverse da quelle di un gruppo di adulti paganti e che con ragazzi della Generazione Z bisogna trasferire soft skills e competenze tecniche attraverso esperienze e condivisione del lavoro con gli altri studenti. Il modello formativo svolto ‘1 a molti’ per fortuna non mi appartiene proprio e sarà forse perché in questa generazione comprende le persone nate dal 1995 al 2010 ci sono dentro anche io.

I ragazzi studiano per diventare ‘addetti vendita specializzati’, in gergo usciti da scuola vanno a fare i commessi, lavoro attualmente molto snobbato in quanto costringe a lavorare nel weekend o ad orari diversi dalla media. Da lì la richiesta di cambiamento da parte del direttore del centro di formazione e l’idea di creare un operatore 2.0, capace non solo di accogliere il cliente ma anche di attirarlo in negozio e coltivarne il rapporto attraverso i media digitali.

Ora punto a far sì che questa evoluzione venga adottata in tutte le scuole, quantomeno della Regione Veneto, che formano questa figura così da renderla più appetibile sul mercato contemporaneo”.

Agli occhi dei non addetti ai lavori la differenza tra coaching e consulting appare impercettibile. Come definiresti le differenze tra la tua attività di social media coach e quella di un consulente aziendale?

“La figura del Social Media Coach si lega molto con la mia missione di portare valore, infatti affianca le aziende formando il personale all’interno all’uso efficace ed autonomo dei social. Di conseguenza non vendo una serie di consulenze che ti tengono aggrappato a me, ma rendo capace il team interno di auto-gestirsi e faccio dei check formativi con la metodologia di un coach.

A dirlo la differenza sembra sottile, ma a livello di percezione e di operato aver preso questa linea mi sta restituendo tanto, così tanto che ho dovuto crearmi un team di social media coach per assistere meglio le aziende clienti (circa 100 in 2 anni)”.

Raccontaci della tua relazione con l’estero. Come sei finito a Cardiff e quante possibilità vedi di lavorare fuori dall’Italia nel futuro a medio e lungo termine?

“A Cardiff ci sono finito attraverso un progetto di 6 mesi con i fondi Erasmus +, là grazie agli agganci governativi ho potuto accedere a formazioni di alto livello, come una che mi ricordo benissimo svolta dal team di Facebook trattando proprio Facebook Marketing.

Chiaramente quella esperienza è stata un banco di prova soprattutto umano, vivere da solo a 19 anni in Paese straniero, stando distante dagli italiani con l’obiettivo di imparare bene l’inglese è stata una sfida di quelle belle.

In futuro? Sicuramente l’estero resta un’opzione, sono attratto fin da bambino dalla California però ora sento di aver tanto da fare e dare in Italia”.

Concludiamo col progetto che più di tutti funge da conglomerato dei tuoi interessi e delle tue passioni principali. Cos’è il Movimento Etico sull’Educazione Digitale, a chi si rivolge e che obiettivi si pone?

“Il Movimento Etico Digitale è un gruppo di formatori-volontari che sensibilizza su ‘potenzialità e rischi del web’ ragazzi e genitori capillarmente in tutta Italia.

Uno dei requisiti per essere uno dei nostri è avere passione per il digitale e voglia di aiutare la propria comunità ad aprire gli occhi verso l’innovazione che sta avvenendo.

Lo scopo quindi è portare i ragazzi da un livello di consapevolezza 0 come quello attuale, allo step 1 così da aprire le porte a programmi più strutturati e ridurre fenomeni come l’adescamento (spesso con vittime adulti) e il cyberbullismo.

L’idea di condividere il mio format è partita a settembre, ora siamo già più di 30 formatori e il lancio ufficiale è previsto a fine febbraio.

La mia visione è oltre ad avere un referente in ogni Paese d’Italia e successivamente compiere una vera e propria evoluzione nei programmi scolastici inserendo una materia come l’educazione civica digitale.

Questo qui sotto è il Manifesto del Movimento che racchiude le parole chiave e i valori che spingono le persone a contribuire a questa causa etica”.