Claudio Rossi, Business Angel al timone dello Startup Studio

Laureato alla Bocconi di Milano, esperienza internazionale nella telefonia mobile, investitore per startup alla ricerca di giovani talenti

Abbiamo conosciuto Claudio Rossi grazie a Federico Belli, Co-Founder di Peekaboo. Era il 28 dicembre 2017, il giorno più brutto della (seppur giovane) storia della Digital Combat Academy. Da un giorno all’altro perdevamo la nostra sede fisica e, tra Natale e Capodanno, dunque non il periodo più felice per organizzare la logistica, ci ritrovavamo con un corso in partenza a breve e la necessità di trovare una nuova aula per i nostri Studenti.

Una chiamata a Federico ci ha portato in fretta e furia a conoscere Claudio, che sin da subito si è dimostrato professionale e disponibile. Siamo andati a conoscerlo dal vivo allo Startup Studio, dove oggi teniamo le nostre lezioni, e abbiamo conosciuto la sua storia personale. Una storia di successi, possiamo dirlo, uno di quei percorsi di vita da cui i giovani imprenditori dovrebbero solo che imparare. Ambizione e pragmatismo, comprensione del contesto locale e mentalità internazionale, sono tutti ingredienti di un vero imprenditore che ha saputo evolvere la sua carriera nonostante i cambiamenti del mercato.

Oggi, Claudio, investe in numerose startup, insegue giovani talenti e come parte di un progetto più ampio e ambizioso ha fondato lo Startup Studio – spazio di coworking che ha l’obiettivo di aggregare sotto un unico tetto tutte le realtà imprenditoriali in cui Claudio nutre degli interessi di business.

Felici di averli conosciuto, soddisfatti di aver preso ispirazione dalla sua storia, lo abbiamo intervistato per condividere il suo percorso con quante più persone possibili. Qui sotto le sua storia.

La Bocconi di Milano è considerata, per meriti, una delle principali Università d’Italia. Rispetto alla tua esperienza universitaria cosa senti di esserti riportato principalmente a casa. Competenze, network o una combinazione delle due?

“Sicuramente una combinazione delle due. Sono ancora in contatto con un sacco di ragazzi che ho conosciuto durante gli anni dell’università e con cui,  poi, ho avuto occasione di collaborare nel mondo del lavoro. Al di là delle competenze offerte dall’università stessa con i suoi corsi,  una  delle cose che più mi ha colpito e che più ho apprezzato era il talento e le capacità dei compagni di corso e colleghi universitari. Sicuramente viene fatta una buona selezione all’ingresso. Per quanto mi riguarda, un buon 50% del valore dell’università e dell’apprendimento di quegli anni è stato sicuramente dovuto al confronto ed ai vari progetti realizzati con i compagni di corso”.

Il primo brand di rilevanza nazionale che spicca sul tuo curriculum è Wind, per il quale hai svolto il ruolo di Product Marketing Manager VAS per oltre 3 anni. Da professionista che ha vissuto quel periodo dall’interno, i colossi di telefonia mobile come hanno vissuto l’avvicinamento a Internet nei primi anni 2000?

“In quegli anni c’era molta euforia e gli operatori mobili pensavano che l’acquisizione delle licenze UMTS avrebbe portato per loro grossi margini e ricavi grazie ai nuovi servizi che si sarebbero potuti lanciare con la banda larga. In una fase iniziale questo è stato parzialmente vero, ma poi la situazione si è ribaltata.

Con l’avvento degli smartphone, società come Google, Facebook, Youtube, WhatsApp e numerose altre, hanno saputo sfruttare le reti messe a disposizione dagli operatori mobili, molto meglio di quanto non abbiano fatto gli operatori stessi. Questo è stato per me una grossa lezione di vita e occasione di apprendimento. Ho capito bene  in quegli anni come

l’unico vero vantaggio competitivo di un’azienda è la sua capacità di imparare continuamente e trasformare rapidamente in azioni quello che ha imparato!”.

Top Communications è stato un progetto lungo, quantomeno per la durata. Undici anni di attività ma, soprattutto, il tuo primo business su Internet come proprietario. Quando hai sentito di avere l’imprenditorialità nelle vene e dove hai trovato le energie per gestire questo progetto mentre continuavi a lavorare per altre aziende?

“Ho sentito di avere l’imprenditorialità nelle vene, o meglio, ho iniziato a sognare di fare l’imprenditore fin da quando ero adolescente. Durante gli anni dell’università (95-99) eravamo nel pieno boom di internet e nei paesini non erano presenti gli ISP (Internet Service Provider) che consentivano di collegarsi ad internet. Inoltre molte persone non sapevano nemmeno cosa fosse internet. Ho quindi pensato che fosse interessante andare a vendere accessi ad internet per conto degli ISP (che erano basati solo nelle grandi città), alle aziende ed ai privati residenti nei paesini.

Si trattava di un lavoro di tipo commerciale che mi consentiva di guadagnare qualche soldo per mantenermi agli studi e farmi qualche weekend a Riccione con gli amici.  Agli accessi ad internet si è poi unita la realizzazione dei primi siti per le aziende ed il business è cresciuto negli anni successivi. Dopo la laurea ho deciso di fare esperienza in qualche grande azienda, quindi ho continuato a lavorare part time a questo progetto, che veniva seguito full time da mio fratello”.

Un miliardo di euro in fatturato nell’arco di dieci anni. Sembra il sogno di uno startupper, e invece è tutto vero: questi sono i numeri macinati da Neomobile, colosso digitale per il quale hai vestito il ruolo da Co-Founder, COO e per il quale oggi sviluppi le relazioni con le startup. Quali sono stati gli elementi di maggiore complessità nell’esportare un business in 15 nazioni diverse?

“Dal mio punto di vista, la cosa più difficile nell’esportare un business all’estero è sicuramente l’adattamento alla cultura locale e la creazione del giusto mix tra risorse locali e risorse che si muovono dalla casa madre nei Paesi di riferimento per esportare il know how.

Per avere successo in un nuovo Paese bisogna creare una contaminazione forte tra le risorse locali e quelle della casa madre in modo da poter rapidamente diffondere know how e valori dell’azienda, costruendo il modello di ‘continuous learning’ che ha già avuto successo in Italia. In questo io ho lavorato in maniera maniacale.

Il più grosso punto di forza di Neomobile negli anni in cui l’ho guidata è stata sicuramente la formazione continua e sono orgoglioso del fatto che, ancora oggi, quando incontro i CEO di aziende che hanno assunto persone che hanno lavorato in Neomobile, mi dicono che raramente gli capita di trovare un così forte mix di talento e preparazione in soggetti che vengono da altre aziende”.

Tra mentorship presso eventi di settore e investimenti come business angel, hai ormai consolidato il tuo ruolo nel mondo delle startup. Cosa ti motiva a restare in contatto con i giovani imprenditori e che giudizio complessivo daresti dell’ecosistema italiano in questo settore?

“La cosa che mi motiva di più a restare in contatto con i giovani imprenditori è l’opportunità di continuare ad imparare cose nuove, soprattutto nel mondo del digitale. Inoltre mi entusiasma la possibilità di poter accompagnare ragazzi ventenni di talento nella creazione della loro impresa cercando di evitare che commettano errori che io ho già fatto in passato. Per quanto riguarda l’ecosistema italiano la mia opinione è che sia molto cresciuto negli ultimi 2-3 anni a livello di sistema complessivo. Sicuramente abbiamo una legge sulle startup tra le più avanzate in Europa.

Quello che però non vedo ancora da parte dello Stato in primis e dei privati secundis, è la voglia di rischiare iniettando capitali importanti nel sistema. La predisposizione della politica a difendere lo status quo investendo più capitali sui business tradizionali (pensiamo ad esempio agli investimenti fatti per il salvataggio di alcune banche) rispetto quanto viene fatto (anche comparato con tutti gli altri Paesi Europei) su aziende innovative o legate all’ecosistema delle startup, rischia di farci perdere altre posizioni nella classifica europea e di spingere sempre di più i ragazzi ad andare a creare aziende all’estro”.