Alessia Camera, il Growth Hacking Visto da Una Professionista Italiana a Londra

Manager, consulente, mentor, formatrice, public speaker e autrice di un libro. Scopriamo insieme la giovane professionista italiana esportata oltre la Manica

Conoscere Alessia Camera di persona è un piacere per qualunque italiano navighi nei mari del Marketing Digitale. È un piacere perché l’approccio solare e costruttivo di Alessia rappresenta uno stimolo positivo per l’intelletto. È soprattutto un piacere perché chiunque abbia conseguito un’esperienza internazionale come Alessia può portare sul tavolo un punto di vista valido in una disciplina relativamente nuova e complessa.

Parliamo del Growth Hacking, la materia sexy del momento. Alcuni sviluppano una professionalità solida e comprovata nel settore, mentre altri sposano il Growth Hacking, più per l’effetto branding che ne deriva che non per reale attaccamento alla maglia. Alessia fa parte della prima categoria di lavoratori, quelli seri, e lo si coglie facilmente dalla linearità con cui espone le sue esperienze passate e la sua visione del futuro.

Pur essendo basata a Londra, ogni anno dedica all’Italia delle giuste finestre temporali per incastrare appuntamenti di lavoro, public speech e infinite occasioni di networking. Vi auguriamo di incontrarla, da questa o dall’altra parte della Manica. Nel frattempo, ve la facciamo conoscere meglio.

Tu come sei arrivata al Growth Hacking e quando hai deciso di scrivere addirittura un libro?

“La prima conferenza dove ho sentito parlare di Growth Hacking è stata nel 2014, dove si raccontava che cosa fosse e cosa significasse grazie ad alcune esperienze oltreoceano. Mi sono resa conto subito che non si trattava di nulla di nuovo per me poiché lavorando con le startup, le strategie e le attività erano praticamente le stesse, solo che semplicemente non sapevo si chiamassero Growth Hacking.

Essendo il mio approccio totalmente pratico e basato su obiettivi concreti mi sono presto appassionata a questa nuova metodologia, che organizzava dati e creatività in un metodo sperimentale focalizzato sulla crescita. Dopo aver lavorato in varie startup e progetti tech, ho capito che si trattava di un metodo funzionale ed efficace in un futuro sempre più digitale, caratterizzato da incertezza e saturazione dei canali digitali più tradizionali.

La decisione di scrivere Startup Marketing è stata successiva, più legata all’idea di quello che si definisce ‘giving back’. Si tratta di un modo di pensare che contraddistingue tanti che, come me, decidono di fare qualcosa di concreto per condividere l’esperienza fatta all’estero con la propria community originaria. Così, dopo essere stata invitata al Web Marketing Festival di Rimini l’anno scorso con il primo speech sul GH in un contesto così ampio e d’importanza nazionale, e aver incontrato i ragazzi di Hoepli, abbiamo messo assieme le necessità ed è nato questo nuovo progetto, una sorta di ‘ciliegina sulla torta’ per il mio pensiero di condivisione. L’idea non era solo quella di raccontare cosa fosse e concretizzare così quelle credenze, a volte poco corrette che stavano nascendo sul tema in Italia, ma di raccontare cosa e come applicare le strategie di Growth Hacking nello sviluppo di un’idea e di un progetto, in un modo totalmente pratico.

Facile, no? Adoro le sfide e sarebbe stato troppo poco stimolante prendere dei libri in inglese e tradurli in italiano! Volevo che il mio libro fosse quel qualcosa in più che mancava nel panorama italiano del marketing digitale. Non è stato per nulla facile mettersi nei panni di un founder o di chi ha un’idea di business, strutturare e scrivere i capitoli nel modo più semplice ed efficace possibile, dopo 5 anni fuori dall’Italia. Ma vedendo i feedback che continuano ad arrivarmi credo di aver raggiunto l’obiettivo!”.

Da Future Tech Girls a H-Farm passando per Virgin Startup, l’attività da Mentor sembra essere un tratto ricorrente del tuo percorso professionale. Quali sono i progetti per cui ti solletica maggiormente l’intelletto fare da Mentor?

“Nel corso della mia esperienza non ho mai avuto un mentor, un po’ perché quando mi sono formata il digitale era un mondo ancora poco conosciuto, un po’ perché era complicato entrare in contatto con alcune personalità di spicco. Anche se sono poi riuscita a ottenere quelle “pacche sulle spalle” che mi servivano grazie a confronti con persone meravigliose incontrate lungo il percorso, sarebbe stato molto più facile e veloce se qualcuno mi avesse aiutato a imboccare la strada giusta fin da subito.

Ecco quindi, che l’idea di essere mentor è proprio per aiutare chi sta facendo delle scelte importanti, senza avere un ampio spettro di riferimento. Future Tech Girls a Londra e Whats Next Talk a Vicenza si rivolgono principalmente a ragazze e donne che stanno scegliendo una strada professionale o imprenditoriale. Noi donne siamo molto più timorose ad affrontare i cambiamenti e a sperimentare rispetto ai ragazzi, inoltre, anche quelle più brave spesso soffrono della sindrome dell’impostore, che ci spinge a convincerci di non essere mai abbastanza brave, anche quando lo siamo.

Ho scoperto, a mie spese, che avere fiducia in se stessi è l’elemento più importante per lo sviluppo professionale e credo non solo che in questi ambiti ci siano le vere opportunità ma che raggiungere un obiettivo di uguaglianza nel numero di donne e nelle competenze sia una necessità per creare una società più equa. Un eguale numero di donne e di uomini nel mondo tecnologico, permette infatti di sviluppare tecnologie e algoritmi che valorizzano le diversità tra uomini e donne, invece di focalizzarsi su un solo punto di vista. Ecco, quindi, che le competenze tecnologiche sono essenziali anche per le donne e non è vero che gli uomini sono più portati.

Passando invece a incubatori come H-Farm e Virgin Startup, credo si impari più dallo scambio di esperienze e dalle relazioni che dai libri. Tanti progetti a cui ho partecipato in passato sono nati perché la tech community di Londra era piccola, permettendomi di entrare in contatto con un sacco di persone appassionate e molto brave. L’idea di essere mentor per startup è quindi non solo per partecipare in modo attivo a questo scambio, ma per imparare dai progetti e dalle relazioni che si creano con le startup e i founder che seguo durante questi percorsi. Al di là dei progetti poi, quello che mi attira particolarmente sono le attitudini dei founder e le competenze del team: la proattività vince sempre e fa veramente la differenza in un mercato che diventa sempre più competitivo”.

 Un nome riecheggia potente sul tuo profilo LinkedIn: Sony Computer Entertainment Europe. Raccontaci della tua esperienza in PlayStation. Che tipo di ambiente di lavoro hai trovato e cosa ti sei riportata a casa da quell’avventura?

“Lavorare in Sony PlayStation è stata un’esperienza che mi ha dato tanto. Arrivando dal mondo delle startup, dove un team era composto da una decina di persone, sono passata a una crescita esponenziale di ruoli e di colleghi per il lancio di PS4 in tutta Europa. Improvvisamente, il budget e il brand non erano più un problema, e le strategie di digital marketing erano basate sui giocatori e sulle loro aspettative, sulle emozioni e sui valori del brand.

Ho contribuito all’organizzazione di eventi internazionali, a progetti che coinvolgevano diversi dipartimenti e allo sviluppo ed esecuzione delle strategie di marketing digitale dei giochi più importanti di settore, così come allo sviluppo di PlayStation VR. Ogni volta era una sfida, anche perché i giocatori di PlayStation si accorgevano subito se l’obiettivo era solo quello della vendita, siamo sempre più smart, no?

Ho imparato a fare brainstorming e a non buttare via nessuna idea, nemmeno quelle di chi normalmente non partecipava ai meeting, a negoziare e a discutere con i colleghi e i responsabili per spingere il team a raggiungere obiettivi ambiziosi e concreti in un ambiente molto strutturato, dove a volte le motivazioni erano diverse e gli obiettivi di alcuni colleghi non erano solamente quelli aziendali.

Ho inoltre capito quali erano i giochi che più mi appassionavano e sono diventata un po’ più giocatrice anche io, anche se nella maggior parte degli eventi online, quando giocavo con la community online, non c’era speranza riuscissi a vincere”.

Moda, finanza, tecnologia. Londra è uno dei centri nevralgici per lo sviluppo di diverse industrie. È soprattutto la città in cui tu sei residente, e al momento l’intenzione è quella di restare. Quali meriti ti senti di attribuire al contesto londinese nello sviluppo della tua professionalità

“Londra mi ha aiutato tanto a raggiungere i miei obiettivi professionali e a crescere professionalmente in un intervallo di tempo relativamente breve.
Ho lavorato duramente e continuo a darmi tanto da fare, ma l’ambiente competitivo e in continua evoluzione di questa città mi ha permesso di sviluppare continuamente le mie competenze, cogliendo opportunità al volo e lavorando molte volte anche 10-12 ore al giorno pur di partecipare a progetti totalmente innovativi.

Inoltre la proattività a Londra è sempre premiata, per cui non ho mai smesso di spingermi continuamente fuori dalla mia zona di comfort. Non è facile all’inizio ma poi non ne puoi più fare a meno, diventa una sfida continua con te stesso!

Infine l’attitudine delle persone in contesti internazionali e meritocratici, basati sul network: se ti trovi a un evento riesci a parlare tranquillamente con delle persone che mai in Italia avresti pensato di poter raggiungere, che poi si scoprono umili e pronte a rispondere alle tue domande. Ecco perché, anche io ho imparato a rispondere sempre a tutte le mail che ricevo nel più breve tempo possibile :-)”.